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08 Dicembre 2020 - 10:31
Intitolando la sezione di Settimo Torinese a Tommaso Lanza, Fratelli d’Italia ha compiuto una scelta che può forse apparire bizzarra. Che cosa accomuna un severo ufficiale medico del Regio esercito a un partito nazionalista e sovranista, costituitosi in tempi recentissimi, che non rinnega l’esperienza del Movimento sociale italiano e, pur con qualche puntualizzazione, quella storica dell’ultimo fascismo?
Forse vale la pena di rispolverare una pagina della nostra storia contemporanea e, per quanto mi concerne direttamente, anche familiare. Nato il 16 febbraio 1869 a Settimo Torinese e laureatosi in Medicina e chirurgia, Tommaso Lanza intraprese la carriera militare, partecipando a tutte le campagne di guerra in cui l’Italia si trovò coinvolta tra la fine del diciannovesimo e i primi decenni del ventesimo secolo (spedizioni in Abissinia e Cina, conquista della Libia e primo conflitto mondiale), sino a conseguire il grado di generale medico. Di sentimenti monarchici, non trascurò l’impegno politico. Consigliere e assessore, capo carismatico del liberalismo settimese, rispettato dagli avversari, diede prova di affetto e dedizione per il proprio paese. Come moltissimi del suo rango, aderì al fascismo: incaricato di comporre i dissidi che opponevano le diverse anime del locale Fascio di combattimento, fu podestà di Settimo dal 1927 al 1934. La sua nomina favorì la convergenza fra le autorità del Regime, la piccola e media borghesia, la parrocchia di San Pietro e ampi strati popolari, dopo anni di scontri, arroganze e strapoteri.
In diverse pubblicazioni ho chiarito che Lanza amministrò Settimo con saggezza, capacità e rettitudine, senza lasciarsi andare ad alcuna violenza, neppure dialettica, né cedere a pressioni politiche più o meno stucchevoli. Giovanni Boccardo, partigiano garibaldino, vicesindaco e segretario della sezione comunista dopo la Liberazione, riconobbe che il generale riuscì a «mantenere un colloquio» con la gente del luogo «grazie anche alla […] attività di medico», improntando la propria opera «agli interessi locali più che a quelli del Regime».
Scapolone impenitente, Tommaso Lanza non si lasciò sedurre dalle «gioie» del matrimonio. Aveva un nipote amatissimo, Michele, nato a Volpiano e figlio di Giovanni, il secondogenito della famiglia, morto nel 1908 in giovane età. Il 13 febbraio 1926, a Settimo, nella chiesa di San Pietro in Vincoli, Michele Lanza sposò Vincenzina Vaglietti, la sorella minore di mio nonno materno, Giuseppe Vaglietti. Essendo venuta alla luce il 19 luglio 1900, nella ricorrenza di un grande santo francese, Vincenzo de’ Paoli, la scelta del nome non si era rivelata difficile. Mia madre, Vincenzina Vaglietti, nacque lo stesso giorno di ventiquattro anni dopo e le fu imposto il medesimo nome: al fonte battesimale la portò in braccio – ça va sans dire – la giovane sorella del padre, raggiante di gioia. Michele Lanza e Vincenzina Vaglietti ebbero un unico figlio, una femmina: la chiamarono Paola Clementina. La coppia si trasferì a Torino, però non troppo distante da Settimo, in una bella casa di corso Vigevano.
Dopo la caduta del Regime, paventando i raid aerei degli Alleati ma anche per far dimenticare qualche debolezza verso il fascismo, Michele Lanza pensò bene di trasferire la famiglia nelle Langhe, a Dogliani. Purtroppo mal gliene incolse. Da quelle parti operavano formazioni partigiane di vario orientamento politico, fra cui quelle «azzurre» o «autonome», agli ordini del maggiore Enrico Martini detto Mauri, monarchico, fedele al governo del re Vittorio Emanuele III. Persona mite e garbata, ostile al fanatismo del fascismo repubblicano, Lanza prese a collaborare celatamente con la Resistenza.
La tragedia si compì il pomeriggio del 31 luglio 1944. Un velivolo con le croci dell’aviazione militare tedesca sorvolò Dogliani un paio di volte, sganciando tre bombe. Poi, per completare l’opera, il pilota invertì nuovamente la rotta, aprendo il fuoco con le mitragliere. Una trentina furono le vittime innocenti. Tuttora si ritiene che i tedeschi – o i fascisti – avessero voluto punire la popolazione che sosteneva la Resistenza. Il giorno dopo, 1° agosto, vennero incendiate numerose cascine e si contarono altri morti. Gli storici ancora si accapigliano per spiegare l’accaduto.
Quel 31 luglio, a terra, davanti alla chiesa di Dogliani, rimase pure la studentessa Paola Clementina Lanza, pressoché decapitata dai proiettili. E fu un bene che il generale fosse deceduto alcuni anni prima, nel settembre 1937, essendogli stata così risparmiata la pena lancinante di perdere la carissima pronipote, «tragicamente» scomparsa «a soli diciassette anni, mentre più bella le sorrideva la vita», come scrissero la «desolatissima mamma Vaglietti Vincenzina» e «il papà Michele» nell’annuncio funebre pubblicato dal quotidiano «La Stampa».
Il necrologio, censurato d’autorità affinché non trapelasse alcun riferimento alle circostanze della morte, accenna a un «dolore che non avrà conforto». Fu quel dolore acutissimo che indusse i coniugi Lanza a dare un taglio alla propria vita e a trasferirsi il più lontano possibile dal Piemonte, in Sudafrica, dove un nipote di mio nonno, Giovanni Vaglietti, catturato nel deserto libico durante il conflitto, era stato condotto prigioniero. Quando passarono a salutare i miei nonni, prima di partire, Michele e Vincenzina sapevano bene che non li avrebbero più rivisti.
A distanza di tanto tempo rimane il testo di quel necrologio che riporta il nome e il cognome della mia prozia, in tutto coincidenti col nome e il cognome di mia madre. Talvolta mi richiama alla memoria le impenetrabili coincidenze della storia, essendo apparso il 9 agosto 1944, all’indomani di un altro dramma della guerra, quello dei sei giovani partigiani che i tedeschi impiccarono sotto il ponte dell’autostrada, a Settimo Torinese.
Ignoro chi abbia suggerito a Fratelli d’Italia d’intitolare la loro sezione a Tommaso Lanza. Mi domando se la scelta possa reputarsi pertinente. Forse il generale avrebbe preferito una sezione del vecchio Partito liberale di Giovanni Giolitti, Benedetto Croce e Luigi Einaudi. Ma tant’è…
Non reputo sbagliato trasmettere in vario modo il ricordo di un personaggio locale, specie in una città immemore come Settimo. Di recente, dialogando col premier Giuseppe Conte, lo scrittore triestino Claudio Magris ha sostenuto che «uno degli aspetti più negativi della cultura di oggi è la memoria brevissima». Quindi ha aggiunto: «Qui si apre veramente un tremendo baratro tra le generazioni. È in pericolo non la memoria storica, ma la memoria che fa parte di noi, anche se non abbiamo vissuto gli eventi che ricordiamo». Nel caso specifico, mi piace credere che la scelta di Fratelli d’Italia racchiuda propositi di moderatismo politico, quel moderatismo a cui sempre si attenne Tommaso Lanza, soldato, medico e galantuomo.
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