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21 Dicembre 2020 - 12:30
Diceva Orazio, il poeta latino: “I nostri genitori, peggiori dei loro padri, hanno generato noi, più scellerati di loro; noi, a nostra volta, genereremo figli più perversi di noi”.
Mi è venuto in mente, sfogliando i social, che, periodicamente, ma con regolarità, (forse anche in considerazione della mia non più tenera età) mi si presentano post nei quali qualcuno glorifica gli anni passati come i migliori di sempre. Tipo: la foto di una vecchia cassetta magnetica, quelle che infilavamo nel registratore per ascoltare un po’ di musica, per intenderci, e sotto la scritta: se anche tu hai usato uno di queste, allora hai avuto una gioventù felice.
Sì, talmente felice che, appena sono usciti i primi cd, le ho buttate via tutte perché ero stufo di nastri che si attorcigliavano nel registratore.
Obiettivamente, sarei stato molto più felice se avessi avuto Spotify o qualche altro programma del genere, col quale ascoltare musica senza tante rotture.
Oppure: l’immagine di un vecchio televisore in bianco e nero, con due enormi manopole sul davanti, e, sotto, di nuovo: se, almeno una volta, ti sei seduto a guardarlo, allora puoi dire di essere stato un bambino felice. Ma state scherzando?!
Mi ricordo bene quando, con un televisore solo, non potevi vedere la partita perché tua mamma voleva vedere il film o, peggio ancora, quando, grazie all’intervento di papà, interessato anche lui alla partita, finalmente ti mettevi a guardare la Juve e l’immagine sullo schermo cominciava a girare, con me che, come un cretino, la seguivo ipnotizzato per capire chi avesse segnato.
Televisore HD a 40 pollici, con mille canali da sfogliare, e la possibilità di guardarti il match clou del campionato di serie B del Turkmenistan. Ecco, onestamente, la felicità, se ti piace guardare il calcio.
Eppure è proprio cosi, come dice Orazio: ogni generazione non ha solo la sensazione di aver avuto la fortuna di vivere l’età dell’oro, unica ed irripetibile, ma è anche convinta che le generazioni successive, costrette a vivere nell’infelicità eterna, siano peggiori, fatte di giovani debosciati e rammolliti, dediti all’ozio ed al vizio (naturalmente fanno sempre eccezione i figli di questi “filosofi”, educati e cresciuti senza grilli per la testa, tutti d’un pezzo: che noia!).
E allora avanti: “Reintroduciamo il servizio militare per insegnare ai ragazzi la disciplina!”; ma, dico io, non sarebbe più semplice, e soprattutto più economico per le nostre tasche, che lo facesse la famiglia?
“Ascoltano musica che fa schifo, di autori pieni di tatuaggi, che istigano alla violenza e all’uso della droga, non come noi, che siamo cresciuti con la musica degli anni Sessanta e Settanta, la più bella di sempre!”: ma, a proposito di droga e di cantanti, Syd Barrett, il leader dei Pink Floyd, idoli di quegli anni, si è cotto il cervello con lo Squaccherone di Romagna o con l’LSD?
E ancora, mio nonno, estimatore di Claudio Villa e di Nilla Pizzi, definiva drogato persino Bobby Solo, che ai nostri ragazzi sembra uno sfigato, scappato dalla teca di un museo archeologico. E quindi? E quindi è un circolo vizioso: invecchiando, e finendo, inesorabilmente, ai margini di una società che corre sempre più veloce, proviamo a renderci preziosi ed attrattivi, strombazzando l’unicità della nostra esperienza o sbandierando il privilegio di aver vissuto tempi mitici, quando tutti erano onesti e le strette di mano valevano più di un contratto (comprese quelle dei terroristi politici, di tutti i colori, che ti sparavano alle gambe sotto casa o che ti piazzavano una bomba alla stazione mentre aspettavi il treno per andare al mare); quando si poteva giocare nelle strade (a me, sinceramente, non lo hanno mai permesso e, nei miei cinquantasei anni di di vita, non ho ricordi di strade deserte, ma, piuttosto, di macchine che sfrecciavano a tutta velocità perché i limiti orari non esistevano); quando il calcio era tutta un’altra cosa, le mezze stagioni erano ancora una realtà, i politici erano di un’altra levatura e gli unicorni correvano liberi nei boschi.
Oggi, invece, è tutto uno schifo. Per dirla con Oscar Wilde: “Carichiamo di male l’immagine della gioventù per permettere a noi vecchi di sentirci candidi”.
E diventiamo patetici. Demonizziamo il cellulare, ma corriamo a comprare l’ultimo modello, col quale andiamo dai nostri figli ad implorarli di spiegarci, almeno, come si fanno le chiamate.
Scuotiamo il capo ironici, pensando alla futilità dei social, ma poi ci facciamo il profilo su Facebook, un po’ perché farsi gli affari degli altri ci piace da morire (molto più dei ragazzi) e un po’ perché, quando lo troviamo un altro posto dove possiamo declamare le nostre cavolate, senza nessuno che ci mandi a quel paese, come fanno i nostri ragazzi, esasperati? Ma, è chiaro, noi, che abbiamo vissuto gli anni di Goldrake e di Happy Days, facciamo tutto con responsabilità, usiamo i social, giusto per dare uno sguardo, compriamo il cellulare, ma potremmo farne tranquillamente a meno. Già, con responsabilità…
La stessa che dimostra qualche adulto (e questo è successo) quando, davanti al suicidio di un adolescente, afferma risoluto che è colpa di Internet, che mostra cose brutte, anzi della scuola chiusa, che tiene lontani i ragazzini, oppure, quasi sicuramente, della televisione, che mostra solo sesso e violenza.
Non è colpa di noi adulti che, presi da mille cose, e tutte importanti, non abbiamo tempo di ascoltarli; non è colpa di noi “grandi” che, tormentati da mille problemi, e tutti veri, non possiamo perderci dietro le mattane di un ragazzino. No, non può essere colpa nostra. Noi siamo quelli cresciuti con la musica migliore di tutti i tempi! E allora, musica, Maestro: “Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente…”
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