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SETTIMO. Il sogno americano

Con cinquanta dollari in tasca, il 18 ottobre 1908, Alessio Demichelis di Settimo Torinese sbarcò dal piroscafo tedesco «The Hamburg», in servizio sulla linea Genova-New York. Era in buona salute, senza apparenti problemi fisici. A Los Angeles, sulla sponda opposta degli States, lo aspettava un amico, Giuseppe Verderone. Quel giorno misero piede nel Nuovo Mondo, assieme a Demichelis, emigranti di ogni provincia dell’Italia settentrionale, da Vicenza a Parma, da Genova a Novara, da Mantova a Belluno. Si ritiene che pochissimi comprendessero qualche parola d’inglese. Per tutti, fra allettamenti, speranze e infinite tribolazioni, cominciava a concretizzarsi il «sogno americano».

Battista Aragno, anch’egli di Settimo, giunse a New York il 22 marzo 1921 col bastimento francese «La Savoie», salpato da Le Havre, in Normandia: lo attendeva un cugino, Costanzo Cernusco, residente al numero 408 di Pacific Street, a San Francisco. Sulla stessa nave, nel 1909, Giovanni Garino di Leinì aveva compiuto la traversata atlantica. Invece i sanraffaellesi Carlo Barberis, Giovanni Rosso, Luigi Perrotti, Angelo Lovera, Giovanni Ducato e Andrea Barberis si erano imbarcati a Le Havre, il 14 febbraio 1903, sul piroscafo «La Champagne».

Innumerevoli storie di famiglie e di singole persone dell’area fra Chivasso, Settimo e il basso Canavese emergono inaspettatamente dagli archivi di Ellis Island, l’isolotto di fronte a Manhattan, nella baia di New York, che fu la prima tappa americana, dal 1892, per milioni di uomini, donne e bambini provenienti dai quattro angoli del pianeta. All’origine dei flussi migratori si ritrovano i medesimi fattori: terra avara, disoccupazione, vita stentata, fame, aneliti di libertà. Dal Piemonte, ad esempio, si partiva perché i terreni agricoli non rendevano abbastanza, le proprietà erano estremamente frazionate, le manifatture attraversavano periodi di forte crisi, ecc.

Per quanto concerne i settimesi, non furono moltissimi quelli che arrivarono a New York tra la fine dell’Ottocento e il primo quarto del secolo seguente, in un periodo di grande affluenza degli italiani negli Stati Uniti. Così appare da una prima e parzialissima ricerca sulle fonti documentarie, incrociando i dati di Ellis Island con quelli dell’Archivio storico comunale. Evidentemente lo sviluppo delle attività manifatturiere e delle lavanderie all’ombra dell’antica torre limitava l’emigrazione. Le richieste annue di passaporto risultano oscillare, fra il 1901 e il 1912, da un minimo di quattordici a un massimo di quarantasette. In maggioranza dovrebbe trattarsi di domande d’emigrazione stagionale, soprattutto verso la Francia. Percentualmente più consistente sembra il numero dei cittadini di San Raffaele, Volpiano, Leinì e San Benigno che sbarcarono a New York nei medesimi anni.

Oggi, a Ellis Island, i turisti visitano il museo dell’immigrazione che custodisce valigie, fotografie, fagotti, vestiti e oggetti di coloro che sbarcarono a New York con un biglietto di terza classe. All’esterno su un muro commemorativo, sono incisi i nomi di cinquecentomila immigrati. Quella che fu la «Registry Room», l’amplissima sala di registrazione, un tempo gremita di gente in attesa dei controlli, è vuota, dominata da grandi bandiere a stelle e strisce.

A offrire i maggior motivi d’interesse storico sono i registri degli sbarchi. I funzionari di Ellis Island, infatti, segnando scrupolosamente i nomi degli aspiranti cittadini statunitensi, erano tenuti a riportare alcune informazioni integrative, oggi utilissime al fine di ricostruire le intricate vicende delle famiglie giunte in America. Alle minuziose note sulle comunità di origine sono soprattutto interessati i ricercatori di storia locale.

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