Marco (chiameremo così la traduzione italiana del suo nome) è un ragazzo nato, suo malgrado, in una parte di mondo “sbagliata”. Poco importa in quale stato, città, nazione. È quella parte di mondo che rientra nelle definizioni di dossier e rapporti come “paesi economicamente svantaggiati” oppure, come si diceva un tempo, “paesi in via di sviluppo” o semplicemente “paesi poveri”. Nell'immaginario collettivo sono tutti sinonimi, accomunati da un enorme potere semantico e mediatico; sono definizioni che non contemplano la variabile Tempo e non tengono conto dell’azione della Storia (e dell’uomo), come se si discutesse partendo sempre dall'anno zero: sono poveri e/o scarsamente sviluppati, è un dato di fatto, neutrale ed oggettivo. Assai più complicato provare a spiegare che i “paesi poveri” non esistono, semmai esistono i “paesi impoveriti”, depredati di tutte le risorse che offrivano, le cui popolazioni sono state sfruttate, colonizzate e sottomesse. L’homo sapiens, dopo aver dipinto la Gioconda e scritto la Divina Commedia, ha teorizzato la “gerarchia delle differenze”: uomo è più di donna, bianco è più di nero. Anche in nome di questo, oggi abbiamo un continente, l’Africa, che non ha mai avuto la possibilità di prendere in mano il proprio destino. Per ottenere metalli preziosi e prodotti tropicali delle Americhe, i coloni europei, dopo aver sfruttato e soggiogato la manodopera locale, decisero di “importare le persone” (trattandole come merce di scambio) dall'Africa. E così, dal 1400 al 1800, circa 9 milioni di persone (la popolazione africana si aggirava tra i 20/30 milioni) sono state strappate dal suolo natio e deportate nel Nuovo Mondo, come “braccia dal lavoro” a buon mercato, praticamente ridotte in schiavitù. Da almeno 500 anni siamo “a casa loro” per i nostri interessi, eppure continuiamo a considerare questi paesi e queste società senza storia. Cosicché, risulta difficile comprendere le ragioni per le quali Marco ha lasciato il posto in cui è nato. Le condizioni per costruirsi un futuro fatto di famiglia, lavoro, amici e tempo libero (un dato scontato nella parte di mondo “giusta”) erano talmente compromesse che Marco ha rischiato la propria vita, affrontando l’inferno Libia e il mar Mediterraneo, pur di aver un’occasione di riscatto. Uno dei sopravvissuti ad un viaggio terrificante di cui non riesce neanche a parlare. Ricordare è lacerante. Ma forse non serve, basta osservare il suo sguardo ed un brivido ti corre lungo la schiena. Quelle cose lette sui giornali, quelle scene viste in TV, si sono materializzate, sono diventate reali, in qualche modo ti riguardano. Marco è di fronte a te, ha l’aria sommessa ma in fondo agli occhi puoi scorgere il desiderio di ripartire, di risalire e farsi una vita (lo stesso desiderio che hanno tutti i giovani del mondo). L’occasione c’è, si chiama Servizio Civile Nazionale. Con la sospensione della leva obbligatoria nel 2004, i giovani di entrambi i sessi, tra i 18 e i 29 anni, possono aderire volontariamente ad un’esperienza civica e formativa che lo Stato mette a disposizione nei settori dell’ambiente, dell’assistenza, educazione e promozione culturale, della salvaguardia del patrimonio artistico e culturale, della protezione civile, oppure del servizio civile all'estero. Marco è contento, dopo le fatiche iniziali, comincia ad ambientarsi e capisce che si tratta di una bella esperienza che può agevolare il suo percorso di integrazione (e lui ne ha tanta voglia). Ormai sono passati quasi 8 mesi, anche con la lingua va meglio, ma qualcosa è cambiato. Il Consiglio dei Ministri ha appena approvato un nuovo decreto il cui obiettivo è quello di aumentare la sicurezza dei cittadini, minata secondo la narrazione (farlocca e mai supportata da dati reali) della retorica dell’invasione dai migranti che arrivano in Italia. Le buone pratiche di accoglienza sono sospese, chi ha un permesso umanitario non può convertirlo o ottenere un rinnovo. L’obiettivo dell’ex governo giallo-verde è quello di rimpatriare il maggior numero di persone. E non avendo la forza per poterlo fare (ammesso che sia giusto farlo), nel frattempo, produce l’esatto contrario del risultato che voleva ottenere: aumenterà il numero di giovani stranieri “per strada” perché cacciati dai percorsi di integrazione che stavano conducendo. Il nuovo governo giallo-rosa non ha modificato il decreto (vergognoso ed illogico, cui se ne è aggiunto un secondo contro le ONG, sempre a matrice giallo-verde) e sembra che non abbia intenzioni di farlo. Marco entro 30 giorni dovrà tornare al suo paese, interrompendo un percorso concreto di integrazione, utile per la propria crescita e per la comunità che lo ha accolto. E tutto senza una ragione valida e di buon senso.
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