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26 Giugno 2019 - 10:37
Vittorio Beltrandi! Chi era costui? È proprio il caso di domandarselo, parafrasando la manzoniana battuta di don Abbondio.
Nato a Settimo il 21 settembre 1779, Beltrandi fu protagonista dei moti che scoppiarono a Torino nel marzo 1821 per indurre il re di Sardegna a concedere la costituzione. Sì, proprio i moti liberali nei quali ebbe parte Santorre di Santarosa, originario di Savigliano, la cui notorietà è soprattutto dovuta allo strano effetto che producono, messi l’uno vicino all’altro, quel nome e quel cognome.
Attualmente la biografia di Beltrandi è incompleta. Dagli atti della parrocchia di San Pietro in Vincoli di Settimo si apprende che i suoi genitori, Michelangelo Beltrandi e Caterina Griffa, erano originari di Perrero nelle valli di Pinerolo. Al battesimo gli imposero ben quattro nomi – Giuseppe Vittorio Andrea Maria – ma poi fu semplicemente chiamato Vittorio. Nel 1816, dopo la bufera napoleonica, lo troviamo nella Legione reale leggera col grado di furiere maggiore. Tre anni più tardi fu promosso alfiere.
Purtroppo non sono noti i motivi che spinsero Beltrandi ad avvicinarsi agli ambienti liberali. Però sappiamo che la Carboneria riscosse un certo successo nelle fila del restaurato esercito sabaudo, specie tra gli ufficiali subalterni che avevano militato sotto le bandiere napoleoniche. Proprio alla Legione reale leggera apparteneva il capitano Vittorio Ferrero (morirà a Leinì nel 1853) che per primo, la mattina dell’11 marzo 1821, tentò d’innescare la sollevazione a Torino, nel borgo di San Salvario.
In particolare, Vittorio Beltrandi fu uno dei promotori dell’assalto alla cittadella di Torino. Fervente patriota, fece parte del battaglione Cacciatori della cittadella. La giunta costituzionale, nel volgere di due soli giorni, lo promosse tenente dei carabinieri, quindi capitano. Ma gli eventi erano ormai sul punto di precipitare. Da Modena, il re Carlo Felice fece sapere di non riconoscere alcuna costituzione e intimò al reggente Carlo Alberto di recarsi immediatamente a Novara dove si stavano concentrando le truppe lealiste.
Sconfitte e disperse le forze costituzionali, ebbe inizio la stagione dei processi. Il 6 settembre Vittorio Beltrandi fu condannato a morte. Tuttavia la sentenza non poté essere eseguita poiché Beltrandi era riuscito a riparare in Spagna dove i liberali avevano preso il potere l’anno precedente. La penisola iberica si rivelò un rifugio ideale per gli esuli piemontesi finché la Santa alleanza non intervenne ponendo fine all’esperienza costituzionale. Nell’ottobre 1823 si spensero le ultime resistenze dei liberali spagnoli. Catturato dai francesi, Beltrandi fu condotto a Bourges e condivise la sorte di altri prigionieri.
Restaurato il potere assoluto del re Ferdinando VII di Borbone, il governo di Parigi si dimostrò propenso a rimettere in libertà anche i volontari stranieri. Ma l’ambasciatore sardo fece pressione affinché ai profughi piemontesi condannati a morte o a lunghe pene detentive fosse impedita la libera circolazione in Europa.
La conquista francese dell’Algeria, iniziata nel giugno 1830, permise a Vittorio Beltrandi di riprendere la carriera militare. Non è chiaro quale ruolo egli ebbe in quegli eventi e in quelli che seguirono: sta di fatto che, decorato con la Legione d’onore, fu promosso capitano aiutante di piazza in Algeri. Nel 1842 si appellò a Carlo Alberto, succeduto sul trono di Sardegna, affinché gli fosse consentito di fruire dell’indulto per i fatti torinesi del marzo 1821. Il sovrano accolse favorevolmente la richiesta.
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