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03 Aprile 2019 - 21:18
Duecento anni fa, il 19 marzo 1811, nasceva a Novara Giuseppe Ravizza. Oggi lo ricordiamo come l’inventore del cosiddetto “cembalo scrivano”, uno dei primi prototipi di macchina per scrivere.
Ravizza si laureò in legge ed iniziò l’esercizio della professione, oltre a diventare sindaco di Nibbiola, un piccolo comune della piana novarese. Nel 1835 iniziò ad interessarsi di scrittura meccanica, tanto da impiantare un piccolo laboratorio domestico.
Il progetto del “cembalo scrivano”, il cui nome era dovuto alla somiglianza con lo strumento musicale, ma anche per il fatto che per la costruzione dei tasti furono utilizzati quelli di un pianoforte, nacque due anni dopo, nel 1837. Il 14 settembre 1855 registrò, presso l’Ufficio centrale di Torino, l’attestato di privativa industriale per il suo “cembalo scrivano ossia macchina da scrivere a tasti”: essa era dotata di 32 tasti disposti su due file sovrapposte, con le lettere nella parte centrale della tastiera e i segni di interpunzione ai lati. Ogni tasto comandava un martelletto, che erano disposti in cerchio. La fine della linea era segnalata dal suono di un campanello. La macchina era composta da circa 600 pezzi in legno e circa 100 pezzi in ottone, risultando quindi poco maneggevole e pesante. Nel 1856, Ravizza presentò un prototipo migliorato alla Commissione per l’Esposizione Industriale di Novara, unitamente ad uno scritto dal titolo “Memoria del Cembalo scrivano e della scrittura meccanica”, da lui stesso redatto.
L’invenzione, però, ebbe uno scarso interesse di pubblico, anche se Ravizza venne premiato con una medaglia d’argento. Nel 1857, tre prototipi furono presentati all’Esposizione Industriale di Torino. Anche in questo caso, il successo di pubblico fu scarso.
La giuria premiò l’invenzione del Ravizza con una medaglia di bronzo. Il cembalo fu anche messo in vendita, alla cifra di 200 lire. Il punto critico dell’invenzione di Ravizza era l’invisibilità della scrittura, in quanto il foglio rimaneva nascosto e quindi sfuggiva al controllo del dattilografo. A questo difetto pose rimedio qualche anno più tardi, costruendo un cembalo a scrittura visibile, che permetteva la lettura del testo durante la digitazione. Nel 1881, tale invenzione gli permise di ottenere una menzione d’onore all’Esposizione nazionale di Milano. Nella stessa occasione, espose anche un telaio meccanico di concezione simile a quello di Jacquard. Ravizza morì a Livorno il 30 ottobre 1885.
I prototipi ideati da Ravizza non ebbero una produzione industriale. In pochi, infatti, compresero a quel tempo l’importanza dell’invenzione. Ma l’idea di Ravizza fu il compendio delle principali funzioni delle macchine da scrivere prodotte in seguito da parte di tutti i costruttori a livello industriale. Lo colsero perfettamente gli americani, che diedero il via alla produzione su scala industriale.
Nel 1866, Cristopher Latham Sholes costruì un prototipo di macchina da scrivere, in collaborazione con Carlos Glidden e Samuel Saulè e vendette i diritti, nel 1873, alla fabbrica di armi Remington, che l’anno successivo la lanciò sul mercato. Il modello prodotto prese il nome di Remington n. 1, fu prodotta in mille esemplari e rimase famosa perché Mark Twain la utilizzò per scrivere “Live on the Mississippi”, pubblicato nel 1883. Nonostante questo modello fosse a scrittura invisibile e scrivesse solo maiuscole, adottava già una tastiera simile a quella delle attuali tastiere di pc: la cosiddetta QWERTY, che ha la caratteristica di mantenere lontani fra di loro i tasti delle lettere digitate più di frequente, che possono essere quindi battute alternativamente con entrambe le mani, velocizzando la scrittura, ma anche in modo da evitare l’inceppamento dei martelletti portacarattere.
Nel 1878, la Remington n. 2 introdusse la scrittura a caratteri minuscoli, benché fosse ancora a scrittura nascosta. Nel 1898 la società americana Underwood realizzò la prima macchina da scrivere a scrittura visibile; il progetto derivava da un brevetto di Franz Xaver Wagner, che ne propose la produzione su scala industriale all’imprenditore americano John Thomas Underwood. Negli stessi anni, le macchine per scrivere di produzione americana varcarono l’oceano e iniziarono a diffondersi in Europa, dove si creò in breve un vasto mercato. Gli americani colsero ciò che Ravizza non riuscì ma a cogliere e che con rammarico ammise nelle pagine del suo diario: «Il mio imitatore o contraffattore Remington nuota nei milioni, mentre io sono malato ed invecchio».
Ma l’importanza dell’invenzione di Ravizza fu colta da Camillo Olivetti che, nel 1926, in un discorso commemorativo sul cinquantenario della macchina da scrivere (“Il Centenario della macchina per scrivere” da Notizie Olivetti, n. 29) affermava che “dalla memoria descrittiva accompagnante detti brevetti, e dai chiarissimi disegni […] è manifesto che il Ravizza, non solo aveva concepito in modo perfetto […] la moderna macchina per scrivere, ma anche l’aveva studiata nei suoi minimi particolari”.
Inoltre “il congegno cinematico per cui il movimento del dito del dattilografo va a ciascun martelletto secondo un cerchio dal cui centro vengono portati a battere i caratteri è identico praticamente a quello della macchina costruita industrialmente nel 1873 dalla casa Remington e brevettata negli Stati Uniti dallo Sholes nel 1868”; e ancora “il fatto dolorosissimo che le industrie tardarono a svilupparsi nel nostro Paese e che molti frutti del genio inventivo italiano furono ignorati e andarono perduti”
L’idea italiana aveva di fatto avviato lo sviluppo industriale delle macchine per scrivere, in particolare negli Stati Uniti ma anche in alcuni Paesi europei. In Italia, la società che per prima tradusse in pratica l’idea di Ravizza fu proprio la Olivetti, che realizzò la prima macchina per scrivere italiana, la M1, e la presentò al pubblico durante l’Esposizione Internazionale di Torino, che si tenne dal 29 aprile al 31 ottobre 1911.
Camillo Olivetti
Della vita di Camillo Olivetti è già stato scritto molto. Nato ad Ivrea il 13 agosto 1868, da famiglia ebraica; compì gli studi presso il collegio milanese Calchi Taeggi e, dopo la licenza liceale ottenuta presso il Regio Liceo Classico “Carlo Botta” di Ivrea, si iscrisse alla Scuola di Applicazione per Ingegneri (in seguito denominato Politecnico). Dopo la laurea in ingegneria elettrotecnica conseguita nel 1891, nel 1893 partì per gli Stati Uniti, per accompagnare l’illustre scienziato Galileo Ferraris, suo docente, al Congresso Internazionale di Elettrotecnica nell’ambito dell’Esposizione Universale di Chicago. Dopo aver studiato a fondo la situazione americana per quanto concerneva la nascita e lo sviluppo dell’industria, tornò in Italia e fondò ad Ivrea una società per la produzione e la commercializzazione di strumenti elettrici.
La sede fu ubicata all’inizio di Via Castellamonte (oggi Via Jervis) e fu così che nacque la “fabbrica di mattoni rossi”.
Era il 1896. L’Olivetti, “prima fabbrica nazionale di macchine da scrivere”, nacque qualche anno dopo, per la precisione con atto notarile datato 29 ottobre 1908 e la sede tornò ad essere “la fabbrica di mattoni rossi”. Per specializzarsi nella nuova produzione, Camillo decise di tornare negli Stati Uniti. Il viaggio servì per raccogliere informazioni utili al progetto e acquisire nuove conoscenze tecnologiche legate alla dattiloscrittura.
Scriveva Camillo (su “Lettere americane”, Milano 1968) il 19 dicembre 1908: “In questi giorni ho fatto un gran visitare fabbriche. Tra le altre ho visitato minutamente la fabbrica Underwood, dove fanno 70000 macchine l’anno, e la fabbrica Royal, dove ne fanno 21000. Sono qualche cosa di enorme e ho imparato molte cose”.
Mentre, il 9 gennaio 1909, scriveva ancora: “Ieri a Ilion ho visto la fabbrica delle macchine per scrivere Remington. E’ una fabbrica bellissima e molto grande. Credo sia quella che produce più macchine nel mondo”.
Camillo era ormai maturo per realizzare, ad Ivrea, la prima macchina da scrivere marchiata Olivetti.
Essa, denominata M1, fu lanciata sul mercato nel 1911 e venne prodotta in circa 6000 esemplari.
Pesava 17 kg, era a scrittura visibile, veniva venduta montata su una base in legno dotata di maniglie laterali per facilitarne il trasporto e lo spostamento. Fu lanciata durante l’Esposizione Internazionale di Torino del 1911, commercializzata al costo iniziale di 500 lire e già a fine anno la Olivetti, a seguito di gara internazionale indetta dal Ministero della Marina, si aggiudicò la prima fornitura di 100 esemplari.
Nel 1912, fu la volta di una consistente commessa per il Ministero delle Poste.
In questo modo ebbero inizio le fortune della società Olivetti. Nell’anno successivo, al fine di contribuire ulteriormente al lancio del modello, Camillo commissionò il primo di una lunga serie di manifesti pubblicitari, che furono negli anni a venire distintivi di uno stile unico. Per la M1, la creazione del manifesto fu affidato al pittore veneziano Teodoro Wolf Ferrari. Il manifesto vedeva Dante Alighieri, indiscusso simbolo di italianità, indicare sobriamente la M1 e, al di sotto della figura, la scritta “Prima fabbrica italiana macchine per scrivere – Ing. C. Olivetti e c. Ivrea”.
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