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SETTIMO. 8 marzo: donne e lavoro

SETTIMO. 8 marzo: donne e lavoro

La festa dell’8 marzo si è progressivamente imposta (e anche svilita) un po’ dappertutto. La tradizione italiana vuole che le sue origini siano collegate a un fatto drammatico accaduto a New York nel 1908, in una fabbrica dove le maestranze femminili erano in sciopero contro un padrone dispotico. A causa di un incendio doloso, l’8 marzo di quell’anno, ben 129 operaie trovarono una morte atroce. Nel 1910, al congresso socialista di Copenaghen, la femminista tedesca Clara Zetkin (1857-1933) avrebbe proposto che l’8 marzo fosse proclamato «giornata internazionale della donna».

Sennonché la realtà storica è assai diversa: nessun incendio, infatti, si verificò quel giorno a New York. Il 25 marzo 1911, quando la festa già era stata istituita, una fabbrica, la Triangle, fu distrutta dalle fiamme e si contarono vittime di entrambi i sessi. Però lo sciopero e le 129 lavoratrici ghermite dalle fiamme non c’entrano affatto. La storia, a quanto sembra, prese a circolare al tempo della guerra fredda, con intenti propagandistici. Una bufala o, meglio, una fake news, diremmo oggi.

Ciò che è fuori dubbio, per contro, sono le durissime condizioni di lavoro alle quali le maestranze femminili erano soggette in tutti i paesi industrializzati. Non è necessario spingersi troppo lontano per trovare conferme. Nella piccola Settimo Torinese d’inizio Novecento, una notevole disparità retributiva fra uomini e donne vigeva sia nelle industrie sia nei laboratori artigianali. Norme e consuetudini vessatorie inasprivano la condizione del personale femminile. Ad esempio, per lavorare nelle ore serali, le operaie a cottimo della tessitura Pasquina e di altre aziende tessili erano tenute a procurarsi il lume e a pagarsi il petrolio; a loro carico veniva pure computata la spesa per la cera che serviva ad agevolare il lavoro coi vecchi telai.

Eppure le donne costituivano una parte considerevole della manodopera operaia. Nell’opificio Gallo, dove si riciclavano gli stracci, lavoravano 140 dipendenti, di cui ben 137 donne. La manodopera femminile tornava utile anche nelle fornaci di laterizi: le donne – e pure i fanciulli – coadiuvavano gli uomini, riempiendo di argilla gli stampi e allineando i mattoni all’aria aperta.

Nel 1899 il consiglio comunale di Settimo sollecitò il deputato del collegio a intervenire presso il Parlamento e il governo affinché si moderasse «il lavoro delle donne negli opifizi, attenuandone l’orario in misura compatibile con la salute». Ma l’iniziativa risultò in parte vanificata dalla dichiarazione che gli industriali settimesi già assicuravano «alle loro operaie un trattamento sotto ogni aspetto commendevole», limitando «l’orario a undici ore di lavoro giornaliero».

Persino l’iscrizione alla locale Società di mutuo soccorso era riservata ai soli uomini. Si riteneva che il sodalizio sarebbe stato soggetto a oneri difficilmente sostenibili, essendo le donne troppo esposte alle malattie, specie a quelle cagionate da debilitazione e da logoramento fisico, tanto più che il lavoro in fabbrica si cumulava con l’attività domestica e il peso delle maternità.

È altresì vero che alcune lavoratrici di Settimo si batterono strenuamente per migliorare la loro situazione previdenziale, costituendo – il 21 novembre 1880 – una Società femminile di mutuo soccorso. All’inizio del nuovo secolo, tuttavia, il sodalizio interruppe l’attività. Solo nel 1910 si formò un comitato per rilanciare il mutualismo femminile in Settimo. Il 28 aprile 1912 il ricostituito organismo di mutuo soccorso poté finalmente inaugurare la propria bandiera. Di lì a breve tempo la Società operaia aprì le iscrizioni anche alle donne, assorbendo la Società femminile. Un’epoca nuova si apriva sommessamente.

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