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18 Novembre 2018 - 17:20
tgv
In origine, siamo negli anni ‘90, bisognava trasportare più velocemente le persone tra Milano (forse Torino) e Parigi. Il loro numero sarebbe dovuto aumentare a dismisura e invece pare che, dopo quasi trent’anni, i passeggeri sulla linea del TGV siano più o meno gli stessi, complice il progresso che, alla convenienza già in essere dell’aereo, ha aggiunto le tecnologie che, oltre alle relazioni sociali, hanno trasformato il lavoro, le abitudini e la mobilità delle persone. Poi è toccato alle merci: la linea esistente prossima alla saturazione ci avrebbe tagliato fuori dall’Europa commerciale (a quanti non è capitato, almeno una volta in questi trent’anni, di entrare in un negozio per comprare un televisore o un cappotto e sentirsi dire: mi spiace ma la merce non ci è arrivata per tempo…). Non era vero, la linea esistente potrebbe sopportare un carico molto maggiore di quello sopportato oggi, complice sempre il progresso che ha moltiplicato le tecnologie che, oltre alle relazioni commerciali, hanno trasformato tempi e metodi di produzione, approvvigionamento e distribuzione merci, se non l’economia intera.
In seguito, veniamo a giorni più recenti, si è giocata alternativamente la carta dell’ambientalismo (spostando il traffico da gomma su rotaia), dell’occupazione (andando a rinunciare ad un’opera già avviata) e del “sempreverde” freno allo sviluppo in caso di mancato realizzo dell’opera.
Quasi in una sorta di paradosso, il fronte del SI accusa chi è contrario all’opera di essere contro lo sviluppo, il progresso: il NO ci riporta indietro, all’immobilismo, alla stagnazione economica. Mentre è vero il contrario, proprio il modello di sviluppo imperante e l’evidenza della realtà si sono fatte carico di smentire il progetto TAV: le previsioni di traffico su cui si basava non si sono verificate; i presupposti che lo animarono andrebbero ri-adattati all’economia odierna, lontana anni luce dagli anni ’90. Ecco perché il progetto rischia di essere anacronistico (come chiudere i negozi la domenica) tanto da meritare almeno una ri-discussione. Non per sposare l’opzione zero: non facciamo nulla. Ma per capire quali le possibili alternative in un mondo che cambia ogni 3 mesi e nessuno sa come sarà tra 15 anni, ad eventuale opera realizzata.
Insomma, argomenti di merito ve ne erano per i Cinquestelle ora al governo locale e nazionale. Chi li ha votati conosceva bene il NO al progetto nel proprio programma (va detto che dal 4 marzo molti mantra del Movimento si sono sciolti come neve al sole, tramontato questo a sciogliersi sarebbe il Movimento stesso….)
Invece il Movimento, vedi il combinato disposto tra Amministrazione Appendino e Ministro Toninelli, è riuscito nell’impresa di ri-animare le ragioni del SI, per certi versi in fase calante, tanto da portare alla manifestazione di domenica scorsa. Decisamente riuscita, sotto tutti i punti di vista, anche quello di strumentalizzarla per altri fini (ormai in politica vale tutto).
La maldestra gestione della candidatura alle Olimpiadi del 2026, insieme ad altre scelte poco oculate hanno dato di Torino la percezione di una Città che comprime ogni energia positiva (peraltro più che una percezione). Del pari, la poca credibilità del Ministro, tra Commissioni vere o presunte, ha tolto credibilità alle ragioni del NO, svilite nella battaglia ideologica di chi dice sempre NO “a prescindere”, come se si trattasse di una minoranza sconclusionata di luddisti contro ogni forma di progresso contro il SI di chi “pensa positivo”.
Dopo anni, prima che il Movimento nascesse, passati a spiegare che la frequenza conta di più della velocità, che la rete italiana non richiede velocità ma efficienza e frequenza, che la scelta deve basarsi su motivazioni tecniche (costi-benfici) e non di opportunità politica, c’è chi non aspettava altro che avere un avversario, dipinto come un fenomeno da baraccone. Per il momento, eccoli accontentati!
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