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SETTIMO. Meridiane e orologi del tempo che fu

SETTIMO. Meridiane e orologi  del tempo che fu

In foto la meridiana del Duomo di Chivasso

C’erano una volta le meridiane... Per lo più segnavano l’ora secondo il sistema italico oppure quello francese. Il primo assumeva come riferimento il tramonto del sole (l’ora zero del giorno), il secondo computava le ore a partire dalla mezzanotte, come avviene ancora oggi. Afferma la saggezza popolare: l’uomo misura il tempo, il tempo misura l’uomo. «Maneo nemini» (non rimango per nessuno), si legge su alcune antiche meridiane.

Poi venne l’orologio meccanico. In occidente, tradizionalmente, se ne attribuisce l’invenzione al monaco francese Gerberto d’Aurillac, studioso di matematica e astronomia, divenuto papa nel 999 col nome di Silvestro II. Secondo alcuni storici, il primo orologio pubblico in Piemonte sarebbe stato posto su una torre di Avigliana, attorno al 1330. A Settimo Torinese, fra le incombenze affidate in età moderna al campanaro della chiesa di San Pietro in Vincoli, vi era quella di regolare l’orologio del campanile e di suonare le campane. Queste non invitavano solo i fedeli alla preghiera e alle funzioni sacre, ma servivano a convocare i capifamiglia in piazza, ad annunciare l’inizio delle lezioni scolastiche e a segnalare i pericoli.

Nel 1859 il sagrestano di San Pietro percepiva dal Comune l’annuo stipendio di 145 lire. I suoi compiti, come risulta dalla convenzione sottoscritta quell’anno, erano i seguenti: «custodir l’orologio [della torre campanaria] e regolarlo»; «suonare le ore, pure nei dì festivi e secondo li riti di chiesa e nelle altre occorrenze di funzioni religiose, tanto comunali che governative»; «suonar giornalmente le due Ave Maria [cioè l’«Angelus» del mattino e quello della sera] ed il mezzogiorno, e dar il segno della scuola all’ora e nei giorni stabiliti»; «suonare in occasione d’incendi»; «suonare i segni per decessi e sepolture, secondo la consuetudine».

Documenti settecenteschi confermano che i compiti del campanaro erano, all’epoca, ben distinti da quelli del sagrestano, contrariamente alla consuetudine che in seguito s’instaurò. Quest’ultimo era incaricato di custodire la chiesa, di tenere in ordine gli arredi sacri e di assistere i sacerdoti nelle celebrazioni liturgiche: a lui, insomma, toccavano sia le incombenze del sacrista sia quelle assai più umili dello scaccino, ma non le mansioni del campanaro.

Poiché l’incarico di suonare le campane veniva aggiudicato mediante pubblico incanto, frequenti erano i comportamenti illeciti e gli abusi. In un atto di deliberazione consiliare del 1755 si denuncia che i campanari avevano l’abitudine, «massime nel tempo de’ divini officij», d’«introdurre compagni nel campanile e con essi giocare alle carte, tarocchi e simili, con grave scandalo del pubblico». «Ben sovente è occorso – viene ribadito in un altro verbale – che il popolo cantava il vespro», mentre alcuni «poco timorati di Dio giocavano alle carte sopra il campanile».

Succedeva, inoltre, che i campanari si rivelassero incapaci di «conoscere e riparare certe coserelle» che potevano determinare la rottura dei bronzi. Era auspicabile - osservarono i consiglieri comunali nel 1756 – che il campanaro fosse in grado di eseguire alcuni semplici lavoretti («aggiustare li ligami del batocchio quando questo batte troppo in alto o troppo in basso, assodar il castello delle campane quando questo non è fermo come deve essere, levar la massa del orologio quando si suona la campana maggiore, acciò non s’incontri in essa in tempo che quella muove», e così via).

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