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26 Settembre 2018 - 11:15
Gli sviluppi della crisi libica non lasciano ben sperare. Nell’ex colonia mediterranea, l’Italia ha enormi interessi economici, legati al petrolio e al gas, ma anche alle commesse industriali. Inoltre nel deserto della Libia, com’è a tutti evidente, si gioca la partita dei flussi migratori. Di certo appaiono lontanissimi i tempi in cui si cantava «Tripoli, bel suol d’amore», inneggiando alla conquista della «quarta sponda».
A Settimo Torinese, stando alle fonti sinora note, l’avventura libica del 1911-12 suscitò tiepidi consensi, per lo meno durante i primi mesi della guerra. Alla spedizione militare si opponeva fieramente la maggior parte dei socialisti. I liberali, invece, appoggiavano l’impresa, richiamandosi non tanto agli incertissimi benefici economici che sarebbero derivati all’Italia, quanto alla volontà di risollevare il prestigio della patria, dopo gli insuccessi coloniali in Abissinia (1896). Più cauti e titubanti, ma non contrari, si mostravano i cattolici.
In quel periodo il Comune era retto da un’amministrazione di sinistra. La presiedeva il socialista Domenico Aragno, presidente della Società operaia di mutuo soccorso. La giunta municipale non organizzò alcuna manifestazione propagandistica a sostegno dell’impresa africana, distinguendosi dalla stragrande maggioranza delle amministrazioni piemontesi. Per rimediare alla mancanza d’iniziative, il circolo filoliberale «Edera» costituì un «Comitato Pro Tripoli», a cui offrì entusiastica collaborazione la Società militare «Umberto I». Un appello fu rivolto alla popolazione affinché si soccorressero le famiglie dei soldati che combattevano in Tripolitania e in Cirenaica. I toni erano altisonanti: «Cittadini settimesi! In questo momento di ansia suprema per tante madri italiane, il Circolo Edera v’invita a rivolgere il pensiero e il cuore ai valorosi che pugnarono e pugnano per la gloria della patria».
Col tempo, crebbe l’entusiasmo dei settimesi per le vicende coloniali. Una parte dei socialisti venne meno all’iniziale fermezza: alcuni di loro si unirono al tripudio collettivo quando tornò a Settimo uno dei primi reduci d’Africa, l’alpino Giuseppe Doria, ferito a Sidi Messri in uno scontro coi turchi. Il Corpo musicale operaio e la banda «Umberto I» attesero il giovane alla stazione ferroviaria e lo accompagnarono in corteo tra la folla esultante. L’assessore socialista Luigi Raspini lo ricevette a palazzo civico come un eroe. La giunta – scrisse il corrispondente della «Gazzetta del Popolo» – «fece mettere a disposizione del festeggiato reduce, in un ristorante del paese, vini e pietanze abbondanti, offrendogli inoltre una piccola somma».
Trionfali accoglienze riservò il «Comitato Pro Tripoli» a tutti i militari settimesi, in particolare al capitano Tommaso Lanza – futuro podestà – e al cappellano Luigi Gilardi. Al pranzo in loro onore, il 10 novembre 1912, presero parte più di trecento commensali, vale a dire quasi tutti i maggiorenti del paese, col parroco Domenico Gobetto e il deputato Edoardo Casalegno. L’iniziativa – commentò la «Gazzetta del Popolo» – «fu per attestare la concordia dei partiti, per inneggiare ai valorosi reduci che tanto alto tennero in Libia il valore italiano». Alla festa, però, non intervennero né il sindaco Domenico Aragno né i rappresentanti della giunta municipale.
Con sincera ammirazione, i settimesi salutarono anche il marinaio Giovanni Taragno, imbarcato sulla torpediniera «Climene» e giunto in licenza nel settembre 1912, dopo avere partecipato alla spettacolare incursione nello stretto dei Dardanelli, agli ordini del capitano di vascello Enrico Millo.
Storie di ieri, storie della martoriata «quarta sponda».
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