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25 Settembre 2018 - 16:34
Nino Costa è considerato (non più comunque in modo così assoluto come ancora una trentina d’anni orsono) uno dei più grandi poeti in piemontese del secolo Ventesimo.
C’è da aggiungere che oltretutto egli è spesso l’unico poeta in piemontese ad essere conosciuto e stimato da molti di coloro che quanto meno sanno che esiste una letteratura in piemontese sia antica che moderna. Molti piemontesi, infatti, sanno a mala pena che è esistito un personaggio di nome Nino Costa, che ha scritto delle poesie in piemontese e a cui, per ben che vada, è stata dedicata una via (o al massimo una scuola) in qualche comune della nostra Regione. I più però non conoscono a fondo, purtroppo, l’opera di Costa, così come quella di altri importanti scrittori del nostro tempo e del passato più o meno lontano.
Nato a Torino nel giugno del 1886 da padre di origini canavesane (di Ciriè) e da madre di famiglia monferrina (Nizza), Costa morì, sempre a Torino, nel novembre del 1945, sull’onda del dolore per la morte del figlio Mario, comandante partigiano ucciso dai nazi-fascisti in val Chisone poco più di un anno prima.
La vita di Nino Costa (tranne un soggiorno giovanile a Parigi) era trascorsa pressoché interamente nella sua città, tra gli impegni del lavoro (era impiegato di banca), la famiglia e la sua produzione di poeta: ël fil d’òr della sua poesia, come lui stesso lo definisce (Sla trama baravantan-ap/ – mesa coton e mesa lan-a –/ dla mia pòvra vita van-a/ j’é ’n fil d’òr ch’as angran-a; Sulla trama bizzarra/ – mezzo cotone e mezza lana –/ della mia povera vita vana/ c’è un filo d’oro che si ingrana; Ël fil d’òr).
Una moglie, due figli (Mario, già ricordato, e Celestina, morta da pochi anni e custode rigorosa per decenni della memoria paterna), la casa torinese alla Crocetta, qualche amico sincero e tanta poesia: da Mamina (1922) a Tempesta (ancora predisposto dall’Autore, ma stampato postumo nel 1946), attraverso Sal e pèiver (1924), Brassabòsch (1928), Fruta madura (1931) e Ròba nòstra (1938) e aggiungendo ancora Tornand che, uscito nel 1977 per i tipi (come già gli altri volumi) dall’editore torinese Viglongo, raccoglie una serie di inediti di notevole interesse, ma di valore disuguale.
Dal primo volume di versi (Mamina, appunto), che raccoglie comunque oltre a poesie composte espressamente per esso anche lavori composti in anni precedenti e già pubblicati su giornali (tra cui il torinese “Birichin”, benemerito giornale scritto tutto in piemontese su cui esordirono, e poi continuarono a scrivere, quasi tutti i migliori autori piemontesi a cavallo dei due secoli), al terzo della serie (Brassabòsch, cioè “edera”) troviamo l’espressione più tradizionale della poesia di Costa: dalle figurine, in genere femminili, della Torino d’inizio secolo (così simili a quelle dei suoi contemporanei Guido Gozzano e Nino Oxilia) alle ballate popolari di ispirazione tanto cittadina che campagnola, dalla rievocazione del “buon tempo andato” alla ricerca delle gesta epiche degli antenati, dal bozzetto spiritoso al quadro attento e preciso di una società e di un mondo diverso dal proprio. Invece, il vero Nino Costa, quello più originale, quello più moderno, quello autenticamente e non “provincialmente” piemontese, comincia a far capolino nel suo terzultimo volume (Fruta madura) per poi individuarsi chiaramente nel penultimo (Ròba nòstra) e infine nell’ultimo (Tempesta), mescolandosi qui con i temi più dolorosi e misteriosi dell’esistenza che si avviluppa nel nero mantello della guerra (le prime composizioni di Tempesta sono infatti del ’39, le ultime del ’45).
Pochi esempi servono a chiarire come nel Costa maturo il concetto di Piemonte e di piemontesità vada ben aldilà della visione esteriormente localistica e paesaggistica: dall’immagine dei lavoratori piemontesi costretti all’emigrazione in terra straniera (Drit e sincer, còsa ch’a son, a smijo:/ teste quadre, pols ferm e fìdigh san:/ a parlo pòch ma a san còsa ch’a dijo:/ bele ch’a marcio adasi a van lontan.// Sarajé, murador e sternighin,/ mineur e campagnin, saron e fré:/ s’a-j pias gargarisé quàich bota ’d vin,/ j’é gnun ch’a-j bagna ’l nas për travajé.// Gent ch’a marcanda nen temp e sudor:/ – rassa nostran-a lìbera e testarda –/ tut ël mond a conòss ch’i ch’a son lor/ e, quand ch’a passo, tut ël mond a-j guarda; Dritti e sinceri, cosa sono lo sembrano:/ teste quadre, polsi fermi e fegati sani:/ parlano poco ma sanno cosa dicono:/ anche se camminano adagio vanno lontano.// Meccanici, muratori e selciatori,/ minatori e contadini, carradori e fabbri:/ se gli piace bere qualche bottiglia di vino,/ non c’è nessuno che li batte nel lavorare.// Gente che non risparmia tempo e sudore:/ – razza nostrana libera e testarda –/ tutto il mondo sa chi sono loro/ e, quando passano, tutto il mondo li guarda; Rassa nostran-a) alla consapevolezza della necessità di consegnare alle nuove generazioni i tesori, morali e ideali, delle precedenti (Na canson dla nòstra tèra fà pì gòj che na cocarda,/ quaicadun a la dëspresia, ma l’é n’ànima bastarda./ Noi ch’i soma ’d marca franca la cantoma a la goliarda/ con na fiama ’ndrinta a j’euj. […] Gnun-e tëmme ch’is ësperdo. Quand che ij pare a stago ciuto/ ’s ancamin-o ij nòstri fieuj; Una canzone della nostra terra fa più piacere di una coccarda,/ qualcuno la disprezza, ma è un’anima bastarda./ Noi che siamo di razza buona la cantiamo alla goliarda/ con una fiamma dentro gli occhi. […] Nessuna paura di perderci. Quando i padri stiano zitti/ incominciano i nostri figli; La copà).
Tanto Canavese, anche, nella poesia di Nino Costa (d’altra parte, abbiamo ricordato l’ascendenza canavesana paterna), come è testimoniato in modo evidente dalla composizione intitolata Canavèis (tratta da Brassabòsch, del 1928), in cui come in molte altre compare una delle più ferme convinzioni del poeta: la consapevolezza di appartenere (lui e i suoi lettori) ad una comunità che condivide ideali e ricordi, convinzioni e tradizioni; il senso di appartenenza quindi ad una comunità ben individuata, quella piemontese. Drinta ’l sercc dle soe montagne/ ch’as avzin-o al Paradis,/ con la blëssa dle campagne,/ con la grassia dij pais:// tèra fòrta, tèra dura,/ tèra ’d mas-c robust e san,/ as dëstend tra Dòira e Stura/ la region dij Canavzan// e con j’aque cantarin-e/ j’albe ciàire e ij bej tramont,/ l’é na perla dle pì fin-e/ dla coron-a dël Piemont.// A gargoja la bialera/ spatarandse ’n mes ai pra,/ na fragransa ’d primavera/ monta sù dai fen tajà// e, ’nt ël verd ch’a-j fà fé l’onda,/ camp ëd biave e camp ëd gran/ son la gran caviera bionda/ dël pais dij Canavzan […] Canavèis l’é tèra dura,/ lo san pro Fransèis e Alman:/ s’a-i é ’n cheur sensa paura/ col l’é ’n cheur da Canavzan […] Sù, con tute le memòrie/ dij tò Cont e ij tò Marchèis,/ sù, con tute le toe glòrie,/ fate largh, ò Canavèis. […] Su la veja tor d’Ivrea/ – tra la neuit e la matin –/ concentrà ’nt na grand’idea,/ a spassëggia re Arduin.// Guarda ’n cel na stèila spalia/ ch’a svaniss lontan, lontan,/ e a-i prinsipia ’l seugn dl’Italia/ dal castel d’un Canavzan; Dentro il cerchio delle sue montagne/ che si avvicinano al Paradiso,/ con la bellezza delle campagne,/ con la grazia dei paesi:// terra forte, terra dura, terra di maschi robusti e sani,/ si distende tra Dora e Stura/ la regione dei Canavesani// e con le acque canterine/ le albe chiare e i bei tramonti,/ è una perla delle più fini/ della corona del Piemonte.// Gorgoglia il canale/ spandendosi in mezzo ai prati,/ una fragranza di primavera/ sale dai fieni tagliati// e, nel vento che li fa ondeggiare,/ campi di avena e campi di grano/ sono la gran capigliatura bionda/ del paese dei Canavesani […] Canavese è una terra dura,/ lo sanno proprio Francesi e Tedeschi:/ se c’è un cuore senza paura/ quello è un cuore da Canavesano […] Su, con tutte le memorie/ dei tuoi Conti e dei tuoi Marchesi,/ su, con tutte le tue glorie,/ fatti largo, Canavese […] Sulla vecchia torre di Ivrea/ – tra la notte e il mattino –/ concentrato in una grande idea,/ passeggia il re Arduino.// Guarda in cielo una stella pallida/ che svanisce lontano, lontano,/ e incomincia il sogno dell’Italia/ dal castello di un Canavesano.
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