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29 Agosto 2018 - 17:58
La salma di Domenico Gatti ha ricevuto l’ultimo saluto dai suoi familiari e da tanti ex colleghi, quelli del 51esimo reparto della Polizia. “Eri un giovincello e abbiamo apprezzato la tua bontà d’animo. Poi ti abbiamo ritrovato uomo, dopo 38 anni, e i tuoi principi si erano rafforzati. Siamo una grande famiglia – ha detto in chiesa una sua collega, leggendo un messaggio della sua ex squadra d lavoro – e tu eri un grande fratello. Eri sempre disponibile, pronto ad aiutarci. Hai voluto far cambiare l’asta della bandiera della nostra squadra, questa che tristemente oggi copre la tua bara, durante l’ultimo raduno. Hai saputo conquistarti un posto speciale nel nostro cuore. Buon viaggio, tra gli angeli del paradiso”.
Don Stefano Bertoldini ha concelebrato i funerali di Domenico Gatti, ucciso in una sera d’estate, quella del 18 agosto, insieme a don Cristiano Massa, cappellano della Polizia e don Diego Maritano. “Ci conoscevamo, soprattutto nella parrocchia della Ss. Trinità, e tutti dicono di lui le stessa cosa: era un uomo buono – ha detto il parroco durante l’omelia – molti dicevano questo”.
Domenico Gatti era originario di Ceglie Massapica, in provincia di Brindisi. Sovrintendente capo presso la Polizia di Stato, prima della pensione raggiunta qualche mese fa, aveva prestato servizio all’aeroporto Sandro Pertini di Caselle Torinese. Qui aveva conosciuto Silvana Villella, dipendente di una società in servizio presso l’aeroporto, e che aveva sposato nel giugno 2016. Una coppia affiatata come si intuisce scorrendo le foto dei loro profili sui social.
Christian invece viveva con la nonna Carmela “Era stato mio marito a volere che venisse a vivere da noi. - ha raccontato la nonna in lacrime, nei giorni successivi all’omicidio - . In casa si è sempre comportato benissimo. E credo volesse bene anche a Domenico, neanche con me ha mai manifestato alcun tipo di rancore verso di lui. Mimmo, così ho sempre chiamato mio genero, mi chiamava mamma e mi ha sempre aiutato, anche economicamente. Oltre a me voleva bene a mia figlia e a mio nipote e ha sempre cercato di fargli cambiare i comportamenti sbagliati. Quel sabato sera Christian aveva telefonato a mia figlia, sua madre, chiedendo se poteva andare a cena da loro. Era contento, me lo aveva detto. Christian voleva soltanto un po’ di affetto, niente altro”. E infine. “I suoi amici? Non me li ha mai presentati. Non li conosco”.
Adesso resta il ricordo e l’attesa dell’iter giudiziario per l’uomo accusato di omicidio aggravato, ricettazione e porto abusivo d’armi. “Rimane il silenzio – ha detto don Stefano – e la fede”. Il feretro di Domenico Gatti è stato salutato dalle sirene della Polizia, prima di essere accompagnato al cimitero di via Milano.
“Sono pentito di ciò che ho fatto. E’ stato un momento di rabbia. Non ho mai avuto rapporti difficili con mia madre e tanto meno con il suo compagno. Io voglio bene alla mia famiglia. E’ stata una situazione mentale che non saprei proprio spiegare. Ho sempre avuto buoni rapporti con mia madre e anche con Domenico. Giuro di non aver mai avuto intenzioni criminali e che quella sera tutto è nato per colpa di un litigio casuale”. Sono state le parole pronunciate da Christian Clemente, in carcere a Ivrea durante l’interrogatorio di garanzia. Il ragazzo indossava una t-shirt e blu jeans, è apparso provato e non ha mai smesso di piangere durante l’interrogatorio durato circa un’ora davanti al gip Stefania Cugge, che ha convalidato l’arresto confermando la custodia cautelare in carcere, accogliendo dunque le richieste della pm Chiara Molinari della Procura di Ivrea.
Intanto sull’omicidio proseguono le indagini dei carabinieri della Compagnia di Chivasso: attraverso la matricola della pistola, una Beretta calibro 22 sportiva hanno accertato che era stata rubata un paio d’anni fa a Piacenza. “Quella pistola l’ho trovata dietro una siepe lungo la ferrovia” ha confessato Christian Clemente sempre durante l’interrogatorio. Racconto a cui gli inquirenti non credono e stanno cercando di capire come Clemente se la sia procurata.
Christian Clemente è un ragazzo dal carattere fragile. Da piccolo ha trascorso gran parte della sua esistenza lontano da mamma e papà, ospite di una casa famiglia. Una volta concluso il percorso rieducativo, è stato “adottato” dai nonni materni nella casa di via Fornaci 27, in zona Corea. La nonna Carmela Gentile era una seconda mamma. La madre, quella vera, Silvana Villella, la incontrava soltanto qualche volta quando era invitato a cena. I carabinieri stanno scavando nel passato del giovane che proprio secondo gli inquirenti soffrirebbe di disturbi della personalità non conclamati. I militari hanno perquisito l’abitazione della nonna per poi sequestrare un borsone colmo di oggetti del ragazzo.
Sarebbe stato un banale rimprovero a scatenare la rabbia omicida di Christian Clemente, 26 anni. Nella serata di sabato 18 agosto ha ucciso a colpi di pistola il patrigno, Domenico Gatti, 59 anni, poliziotto da due anni in pensione. “Quando metterai la testa a posto?”, avrebbe detto la vittima durante un litigio. “Mio marito gli rimproverava spesso la sua scarsa volontà di trovarsi un lavoro oltre a sgridarlo per le cattive frequentazioni”, ha raccontato la mamma del ragazzo, Silvana Villella, dopo l’omicidio. Il delitto è avvenuto in un alloggio di via Fantina a Settimo, dove la famiglia abita da alcuni anni. La lite tra i due uomini sarebbe iniziata a cena, nel corso di una discussione sulla condotta del 26enne, con precedenti penali.
Clemente, dopo le parole dure del patrigno, è uscito di casa ed è salito sull’auto del fratello minore, Ivan Varagone di 21 anni. Quando è tornato aveva in mano una pistola calibro 22 con la quale ha sparato ripetutamente all’indirizzo dell’ex poliziotto.
A chiamare i soccorsi è stata proprio la donna. Quando l’ambulanza del 118 ha raggiunto l’alloggio di via Fantina, però, il cuore dell’ex poliziotto aveva già smesso di battere. Il 59enne non ha avuto scampo: secondo l’autopsia, sono stati tre i colpi fatali, quelli che hanno raggiunto il cuore.
Christian Clemente, con la Peugeot 108 del fratello, si è poi allontanato nuovamente, ma poi ha chiamato le forze dell’ordine per segnalare la sua posizione. “Venite a prendermi - ha detto al centralino del 112 - . Ho sparato al convivente di mia mamma e l’ho ucciso”. I carabinieri della Compagnia di Chivasso l’hanno rintracciato in corso Piemonte all’angolo con via Schiapparelli e l’hanno arrestato.
La pistola, invece, è stata recuperata alle 9 di domenica mattina, 19 agosto, nell’area verde di via Tinivella. Si tratta di una Beretta calibro 22 rubata, nascosta dall’omicida subito dopo l’agguato. Per questo motivo, oltre all’omicidio aggravato, Clemente dovrà rispondere anche di ricettazione e porto abusivo d’armi. Il 26enne è stato associato al carcere d’Ivrea.
Nel novembre 2012 il giovane era già finito in carcere per il tentato omicidio di un ragazzo egiziano, a Settimo: in quell’occasione, al termine di una violenta lite in un negozio, insieme a un complice, Clemente usò una bottiglia di vetro rotta.
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