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12 Giugno 2018 - 16:45
E’ di questi giorni la bella impresa della nazionale femminile di calcio che, dopo venti anni, si è riguadagnata la partecipazione ai mondiali. Una bella notizia che mette tutti d’accordo, accaniti ultras calciofili che, in mancanza d’altro, si sono comunque goduti qualche attimo di emozione e schiere di radical chic normalmente sprezzanti il volgare gioco del pallone, ma ora pronti ad applaudire il gentil sesso in aria di emancipazione. Interessanti sono state soprattutto le reazioni dei media e dei social. Si possono dividere in due gruppi. Il primo fa capo all’idea del sempiterno conflitto maschi contro femmine, condito, in questo caso, da uno spruzzo di populismo. Il concetto è: i calciatori della nazionale, strapagati in quanto calciatori ma viziati in quanto maschi, non ce l’hanno fatta mentre le ragazze, che nessuno si fila come sportive ma determinate in quanto femmine, hanno ottenuto ciò che volevano. E va beh…
Il secondo gruppo, invece, mette insieme le reazioni degli addetti ai lavori la cui conclusione è: speriamo che ora, dopo questo bel risultato, il movimento del calcio femminile possa crescere, e via di seguito. Ecco questo mi fa veramente arrabbiare, soprattutto se penso a Chivasso e a quel che succede in città con il basket e la pallavolo, sport “minori” in quanto diversi dal calcio. La nazionale maschile di basket e quella femminile di pallavolo hanno vinto tantissimo nel tempo ed hanno effettivamente fatto da traino ai rispettivi movimenti tanto che oggi Asd Chivasso Basket e Volley Fortitudo contano più di 400 tesserati complessivi. Le due storiche società hanno vinto campionati di categoria, titoli giovanili, hanno dato giocatori alle selezioni provinciali e regionali e persino alle nazionali giovanili. Eppure, dopo oltre cinquant’anni di storia, la Città non è ancora riuscita a mettere a loro disposizione uno straccio di palazzetto dello Sport, relegandole a giocare in strutture al limite dell’omologabilità federale ma dal costo orario di un campo da tennis.
Ora immaginate che una squadra mediamente fa sei ore di allenamento alla settimana più la partita, che ogni società ha circa sei o sette gruppi agonistici e in breve potrete rendervi conto che la spesa finale per le strutture è l’equivalente di una bella berlina di marca. Chissà, forse la mancanza di santi in paradiso nei momenti giusti, o forse chissà che altro, ma certo è che nella Città dei due stadi da calcio, l’unico palazzetto esistente ad oggi non è omologabile per le gare federali, inadatto per l’illuminazione e per la scivolosità del fondo. Così ogni anno circa quattrocento famiglie chivassesi (oltre mille votanti…) pagano la quota e poi sperano che intrepidi dirigenti, con enormi e comprensibili difficoltà, riescano a mettere insieme i fondi necessari per poter permettere ai loro figli di giocare a pallavolo o a basket. Ed il bello è che in tale caos la Fortitudo sfiora la promozione in serie D e il Chivasso Basket conquista la promozione in serie C. E già me lo vedo qualche papavero del CONI che all’ennesima vittoria della nazionale di volley o di basket andrà in televisione a dire: “speriamo che ora il movimento possa crescere…” Ma vaff…!!!
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