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06 Giugno 2018 - 18:00
Giampiero Vigliano
Dalla serata in omaggio all’architetto Giampiero Vigliano, «pioniere dell’urbanistica italiana», nato a Settimo Torinese nel 1922, sono scaturiti interessanti stimoli di riflessione. Infatti occuparsi di Vigliano, preside della facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, equivale a interrogarsi sui tempi e i modi con cui la città alle porte del capoluogo subalpino si è sviluppata dal punto di vista urbanistico e edilizio dopo la seconda guerra mondiale, soprattutto al tempo del boom economico, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Ma significa anche rievocare la Settimo da molti sognata o immaginata – la città possibile, volendo richiamarci al noto romanzo «Le città invisibili» che Italo Calvino pubblicò nel 1972 – rispetto a quella reale.
Al termine del conflitto, Settimo contava poco più di 10 mila abitanti e pareva avviata verso un promettente sviluppo economico. Cittadini e pubblici amministratori manifestavano grande fiducia nel futuro del proprio paese. L’apertura delle fonderie Wollenigh, a oriente dell’acciaieria Cravetto, nel 1948, fu intesa come un vero passaggio di boa per l’economia locale: Settimo si lasciava finalmente alle spalle il periodo incerto del dopoguerra, scommettendo sulle proprie capacità di ripresa.
È in quel contesto che la giunta municipale di sinistra affidò, nel 1949, al professor Alessandro Molli Boffa, ordinario di Urbanistica presso il Politecnico di Torino, l’incarico di redigere il piano regolatore di Settimo Torinese. Vigliano coadiuvava Molli Boffa nelle esercitazioni del corso che l’illustre urbanista teneva ai propri allievi e frequentava il suo studio. Era la persona più indicata per collaborare alla stesura del piano regolatore.
Il territorio fu diviso in tredici zone, prevedendo aree di ampliamento residenziale e industriale, aree a verde pubblico, per i servizi collettivi, ecc. La zona industriale, inframmezzata da terreni boschivi, fu individuata fra la strada per San Mauro Torinese e l’allora statale numero 11 che attraversava l’abitato. Nel centro urbano, i nuovi edifici non avrebbero dovuto superare l’altezza di tre piani. A una doppia circonvallazione, a monte e a valle della statale, si demandò il compito di deviare il traffico dall’abitato.
Il piano fu approvato dal consiglio comunale nel 1954, ma non ebbe seguito. Infatti i pubblici amministratori temevano che vincoli urbanistici troppo rigidi potessero intralciare l’apertura dei nuovi stabilimenti industriali che la giunta municipale si sforzava di attrarre a Settimo. Il sindaco Luigi Raspini fu chiaro: il Comune decise di soprassedere all’attuazione del piano regolatore «per non ostacolare l’impianto di nuove industrie», le quali erano «fonte di lavoro e di benessere per la popolazione».
Il giovane Vigliano uscì scottato dalla vicenda: si trattò di una delusione bruciante, fonte di grande amarezza. Anni dopo confesserà a un amico che il sindaco «nulla sapeva in argomento urbanistico come d’altronde la stragrande maggioranza dei consiglieri». Nell’agosto 1959, scrivendo per il periodico «Il Cittadino Settimese», sostenne che Settimo era «una non città: un esempio negativo da studiare, […] non da imitare o da prendere […] a modello».
Da allora molta acqua è fluita sotto i ponti del rio Freidano. Non sappiamo che cosa Giampiero Vigliano, professionista intelligente e rigoroso, alieno dai compromessi politici, avrebbe potuto pensare della città postfordista di questi nostri tempi, essendo deceduto nel 2001. Tuttavia riusciamo a immaginarlo senza alcuna fatica.
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