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IVREA. Le promesse da marinaio

IVREA. Le promesse da marinaio

Vi ricordate i precedenti editoriali sul prevedibile oltre che indispensabile “Inciucione” per addivenire ad un nuovo governo nazionale dopo che nessuno ha vinto all’elezioni del 4 marzo?

Ci stiamo finalmente arrivando, ma non è ancora il momento di dilettarci a malignare su quella inquietante alleanza che sta prendendo piede tra quelli che ce l’hanno duro (o almeno ce lo avevano ai tempi del loro capostipite Bossi) e quelli che, per sapere come ce l’hanno, devono procedere ogni volta ad un sondaggio nel web. Ooh! Per la carità, certamente il divertimento non mancherà, non appena le strane nozze verranno celebrate dal Don Abbondio del caso, il Presidente Mattarella.     

Ma per il tempo che ancora trascorrerà prima che si confermi la mia facile previsione che per nulla al mondo quei 600 valorosi nominati, scaturiti dalla più sciagurata delle leggi elettorali, avrebbero rinunciato ad un sontuoso stipendio che oggi non si può più permettere neppure un imprenditore serio e responsabile nella propria rischiosa attività quotidiana, vessato continuamente da tasse e gabelle divenute ormai insostenibili, nulla ci vieta di sconfessare le smargiassate con cui quasi tutti i partiti che si sono presentati alla recente competizione elettorale hanno cercato di carpire la buona fede dell’elettore per spingerlo ingannevolmente ad esprimere un consenso ingenuo e mal risposto. Già, perché, come tanti imbonitori, più o meno tutti hanno fatto ricorso a quei temi che stanno tanto a cuore del Cittadino: riforma delle pensioni della previdenza sociale, lavoro, salute, sparandole sempre più grosse, senza minimamente fare i conti con la realtà economica poco rosea del nostro Paese. Soffermiamoci, tanto per capirci, sulla Legge 2014 del 22 dicembre 2011, la famigerata “Legge Fornero”, residuo del Governo tecnico Monti, a sua volta creazione della fantasia bolscevica  del Presidente comunista Napolitano.

La Legge Fornero subentrò alla legge Dini ed apportò delle sostanziali modifiche sull’età pensionabile estendendola per entrambi i sessi al compimento del 66°anno al fine di sanare i conti con la Corte Europea che ci marcava stretti da tempo. I governi che si sono succeduti dopo Monti si sono ben guardati da andarsi a cercare rogne e hanno semplicemente perso tempo in discussioni vuote e non è arrivata alcuna modifica. Considerata l’importanza della questione cosa hanno pensato di fare i partiti nella recente campagna elettorale?

Quasi si sono azzuffati nel precedersi l’un l’altro nel dichiarare la volontà di abolirla. Bravi! Soprattutto a fare, come si suole dire, “il conto senza l’oste”. Già, perché il governo Monti attraverso la Legge Fornero ha fatto cassa per una cifretta pari a 80 miliardi di euro. Roba da far andare in dissesto i conti dello Stato, altro che i bilanci virtuosi che tanto entusiasmavano il Sindaco Della Pepa! Basta quindi fare il banale ragionamento che per abolire la Legge Fornero occorrerebbe portare nelle casse dello Stato altrettanti 80 miliardi di euro, ovvero 350 miliardi in venti anni, come sostenuto dalla Ragioneria Generale dello Stato. Cifre che sgomentano se si pensa che i Sindacati sono riusciti, a seguito di lunghe trattative sull’argomento previdenza ed in controtendenza con tutti i governi che si sono succeduti, a portare a casa per i pensionati un importo significativo di 7,3 miliardi di euro.

Invece di promesse ad effetto in campagna elettorale si dovrebbe lavorare seriamente sulla separazione della previdenza dall’assistenza e sulla necessità di individuare con competenza i lavori logoranti. Il problema di distinguere il tipo di professione svolta è fondamentale sia per prendere atto che un lavoro particolarmente usurante fa diminuire drasticamente l’aspettativa di vita, ma ci sono anche importanti risvolti sociali che dovrebbero indurre a non prolungare oltre il ragionevole il periodo lavorativo di ogni categoria. Basta pensare a quanto oggi un insegnante di oltre 65 anni potrebbe trovarsi in difficoltà nel rapportarsi con studenti nati nell’era del digitale e all’uso del tablet. Più o meno una situazione non opportuna potrebbe riscontrarsi per un’infermiera di sala operatoria di 67 anni che potrebbe essere soggetta a piccoli problemi fisici, ma tali da mettere a rischio i pazienti. La dimostrazione che già con la Legge Fornero il tentativo di portare equaglianza ha invece creato diseguaglianza sociale, avrebbe dovuto far riflettere i partiti a proposte più serie e maggiormente realizzabili, magari dando qualche confortante segnale per una limitazione delle tante “pensioni d’oro” che invece evidentemente nessuno vuole mettere in discussione e che con una sola di queste permetterebbero di migliorarne decine di quelle sotto soglia di esistenza.

Persino l’allettante proposta di aumento a 1000 euro delle pensioni minime è solo una bella “bufala elettorale” avanzata da chi pensa sempre che la coperta corta sia possibile tirarla un giorno da una parte ed il giorno dopo dall’altra, con quella angosciante approssimazione con cui si è giunti alle condizioni che tutti conosciamo e che ci ricadono addosso. Ma la colpa non è tutta addebitabile ai nostri improvvisati politici. Ho trovato un curioso articolo che risale alla Domenica 10 Marzo 1969, ultimo giorno della quarta legislatura repubblicana.

La Camera chiudeva i suoi lavori deliberando un contributo di 40 milioni di vecchie lire (che allora non erano vecchie) per le celebrazioni del 525° anniversario della nascita di Bramante. Poche ore prima, senza neppure buttare uno sguardo su un progetto di legge spinto dai Sindacati CGIL,CISL e UIL e imposto dal Governo di centro-sinistra, il Parlamento aveva approvato la “Riforma delle Pensioni della Previdenza Sociale”. Già in clima preelettorale, la Stampa governativa e le Televisioni esultavano e 8,2 milioni di pensionati ebbero la sensazione che una pioggia d’oro stava per rovesciarsi sulle loro misere tasche.

La realtà, dopo l’entrata in vigore della riforma, il 1° maggio, fu meno rassicurante. L’aumento fu di 2.400 lire per tutti, sufficienti comunque a peggiorare gravemente la situazione previdenziale e a richiedere l’aumento dei contributi per i lavoratori. Pare che i nuovi partiti di oggi non disdegnino emulare le scelte “socialmente avanzate” nate allora dal connubio fra cattolici progressisti e socialisti. Alla faccia del nuovo che avanza!    

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