Cerca

Ci pensate?

Ci pensate?

truffa-online (foto archivio)

Comprare un bijoux e trovarsi per le mani una scatola da scarpe. Ecco cosa succede ad acquistare online.

Come aveva profetizzato il vecchio Karl (tornato alla ribalta in occasione del bicentenario della sua nascita), il capitalismo ne sa una più del diavolo.

Giocando ora sulla nostra proverbiale pigrizia e insipienza, ci fa sentire «signori», offrendoci merci, sempre più merci a mezzo di un click. Evitandoci tutte le code, lasciandoci ad imbolsire comodi-comodi sul divano (tanto poi ci venderà qualcos’altro per smaltire il sovrappeso), farà correre altri per noi (siano i nuovi paria dei pasti a domicilio, siano i fattorini che ci consegnano i pacchi a tutte le ore), segmentando ancora – e ancora – il lavoro o quello che di esso rimane in Occidente, ossia la fornitura di merci.

La grande distribuzione che ha soppiantato il commercio al dettaglio (prossimamente, per un antitarlo o per un campanello d’ingresso, anziché andare in una ferramenta del centro dovrò correre al grande magazzino del faidate di corso Giulio Cesare) è insidiata dal negozio virtuale. Tutto questo ha costi sociali (secondo la teoria del bicchiere mezzo pieno, il mercato virtuale sta generando un lavoro differente), insieme a costi ambientali, dei quali non ci preoccupiamo.

Per quelli sociali aspettiamo di vedere i provvedimenti del nuovo governo, anche se quello che, una volta, era chiamato «assistenzialismo» potrebbe diventare «religione» di Stato, costituendo semplicemente un’altra forma di «alienazione», in senso marxiano ovviamente. Parliamo per ora dei costi ambientali della bottega virtuale. I beneinformati sostengono che in Italia «nel 2016 sono state immesse 2 milioni 200 mila tonnellate di plastica». Per il Corepla, il Consorzio per il riciclo degli imballaggi di plastica, «l’e-commerce ha rappresentato il 15 per cento del totale della plastica immessa al consumo, ovvero 300 mila tonnellate». Il commercio on-line, con il recapito dei pacchi a domicilio, si porta dietro, però, altre esternalità negative, come l’aumento di traffico per la consegna delle merci, con conseguente emissioni di gas di scarico, ecc. Data l’estrema convenienza (?) dell’acquisto online, visto che i costi per l’approvvigionamento, lo stoccaggio e la distribuzione sono saltati, la domanda è: chi paga? Le piattaforme di vendita? Non sembra. La collettività? È più sicuro, data la necessità di smaltire gli imballaggi che le aziende di raccolta rifiuti si trovano nei cassonetti domestici. Di conseguenza – è bene ricordarselo – paghiamo noi tutti, perché è il consumatore il soggetto produttore di rifiuti.

Beh, secondo un’altra intuizione del vecchio Karl, il capitalismo avrebbe trovato un modo, e poi un altro modo e un altro ancora, per sopravvivere. Nel 2016 il 50 per cento dei rifiuti riciclabili mondiali è finito in Cina, nei porti cinesi sono transitate 45 milioni di tonnellate di metalli, plastiche e carte di scarto (16 milioni solo dagli Usa). Adesso però la Cina non vuole più i nostri rifiuti, perché troppo inquinati, mettendo in crisi sia gli Stati Uniti sia, in minor misura, la vecchia Europa. Oltre alla guerra dei dazi si sta affacciando un’altra guerra commerciale?

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori