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SETTIMO TORINESE. L’Isis tra di noi

SETTIMO TORINESE. L’Isis tra di noi

Il carcere delle Vallette a Torino

Questo qui faceva sul serio. E noi dobbiamo fare altrettanto. El Madhi Halili è ora un inquilino delle Vallette. Terrorista nato a Ciriè, cresciuto a Lanzo, viveva a Torino. Tra noi. Sicuramente è transitato anche a Settimo, la Questura racconta dei suoi studi sulle armi e su come usarle per far male a qualcuno, forse molti di noi. Teneva sermoni su come colpire l’infedele, scaricava da internet materiale dell’Isis, scriveva pizzini tipo mafia per alfabetizzare i suoi amici sui metodi della Jihaad. Dal momento che da una roba così è difficile difendersi, bisogna mettere un freno prima e, con tutta la tolleranza che possiamo avere per il mondo dell’immigrazione, di fronte a un pericolo tanto serio, non tergiversare.  Cominciando a non farci prendere per il naso dalla famiglia, sedicente per bene, in cui cresce un figlio “strano e un po’ chiuso”. È in famiglia che si trasmettono certi valori, o disvalori, ed è lì che bisogna cercare. Poi, controllando per benino queste benedette scuole islamiche, salvaguardando quelle serie e chiudendo quelle dove in luogo del Corano si predica violenza. Il giovanotto in questione, che al momento dell’arresto si è detto orgoglioso di offrire la sua esistenza ad Allah, non sa che Allah del suo sacrificio non è informato. E allora lo informiamo noi: se lo prenda tranquillamente indietro, il minchione, e lo tenga lontano da qui. Torino non è Kabul, il mercatino di Settimo non è la kasbah di Tripoli. Qualche problema lo abbiamo, ma nelle nostre strade non circolano cannibali. Un brivido corre lungo la schiena al pensiero di ciò che il coglione rivoluzionario avrebbe potuto farci, colpendo noi, i nostri figli, le nostre cose. Ovunque, in coda alle poste, in un supermercato, per strada, al cinema, all’università, in fabbrica.

Sia chiaro: l’onere di qualsiasi gesto è sempre e soltanto soggettivo e mai di un popolo intero, la guerra va circoscritta ai delinquenti, non a tutti i migranti. Ognuno è responsabile per quello che fa. E più è pericoloso, più ci vuole fermezza, e se c’è da rimandarlo indietro, magari in un paese dove la giustizia è più spiccia della nostra, lo si spedisca tranquillamente.

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