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CHIVASSO. Dall’Onorevole Tonengo al “Preside” Castello...

CHIVASSO. Dall’Onorevole Tonengo al “Preside” Castello...

Il sindaco Claudio Castello

Il primo consiglio comunale come il primo giorno di scuola. Consiglieri ed assessori emozionati come remigini d’altri tempi. Tutti, o quasi, con il vestito della domenica, accompagnati da familiari votati ad immortalare volti che sorridono tesi. Un po’ più rilassati i ripetenti, come il sottoscritto. Quasi spavaldi i pluriripetenti. Si elegge il presidente del Consiglio. All’unanimità Gianni Pipino, l’uomo giusto al posto giusto. Pignolo, preciso, rigoroso. Un bel colpo anche per la minoranza che, senza colpo ferire, si è tolta dai piedi il miglior oratore piddino dell’amministrazione precedente. Poi, finalmente, la parola al Preside, pardon al Sindaco. Legge, ogni tanto sbaglia le pause, qualche alunno più discolo sbuffa. L’emozione è irrispettosa. Si celebra la cospicua presenza femminile in Consiglio, poi si riflette sullo scarso numero di votanti. Ognuno promette di voler fare qualcosa. Noi proponiamo la consulta delle frazioni e dei quartieri. Il principio, molto semplice, è ascoltare i cittadini, fornendo loro momenti istituzionalizzati d’incontro con chi governa la loro città, evitando le turbolente assemblee ancora care a molti amministratori amanti del vintage sessantottino, o le solite cerchie di amici fidati. Mio nonno, un contadino di Cigliano, mi raccontava che nei primi anni cinquanta, quando l’acqua per irrigare i campi scarseggiava, era solito venire a Chivasso in delegazione con altri agricoltori a chiedere aiuto all’onorevole Tonengo. Erano certi che l’onorevole, persona degna di grande rispetto, li avrebbe ascoltati. Sapevano bene che egli non disponeva della bacchetta magica, ma erano sicuri che si sarebbe battuto per loro. E così, infatti, avveniva. Erano gli anni di Don Camillo e di Peppone, delle ideologie da difendere e della politica vissuta con passione, ma erano anche gli anni degli amministratori che vivevano il loro territorio, disposti ad ascoltare le esigenze di chi li aveva eletti, perché quello era il loro compito. Col tempo l’avremmo chiamata democrazia partecipativa. Per mio nonno era semplicemente normale che l’onorevole Tonengo lo ascoltasse e per l’onorevole Tonengo era altrettanto semplicemente normale ascoltarlo. Ci proviamo anche noi, signor Preside? Pardon, signor Sindaco?

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