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CAVAGNOLO. A Esterino, mio papà

CAVAGNOLO. A Esterino, mio papà
Come si fa a mettere in fila tutti i ricordi dei nostri 37 anni insieme, da quando stringevi la mia piccola mano nella tua fino a quando, l’altra sera, io tenevo la tua nella mia? Me lo sono chiesto tante volte, in questi giorni e in queste notti surreali. Mio papà Esterino è nato ad Artegna, in provincia di Udine, 62 anni fa, dai nonni Elio e Pia. Una famiglia umile, di origini venete. Di gran lavoratori e migranti. A Cavagnolo sono arrivati qualche tempo dopo e qui è nato il fratello Gianfranco, di tre anni più piccolo. Da Cavagnolo mio papà non è mai andato via. Ha imparato il mestiere di idraulico e, poco più che ventenne, ha iniziato a lavorare in proprio. E con il lavoro s’è fatto, lui e la famiglia. Il matrimonio con Loredana, io, Manuela. E poi sono venuti la nuora Anna, Luca, i nipotini Olivia e Alessio. Nel mezzo anni passati - come dice un caro amico - da innamorato del fuoco della vita. Sempre un passo avanti, mai uno indietro. La famiglia, il lavoro, ma anche gli amici, le vacanze, Megève. I suoi ultimi viaggi da cui tornava, ogni volta, un po’ più ricco e un po’ meravigliato. I progetti. Tanti, troppi, forse, da contenere in una vita sola. “Tuo papà non era solo l’idraulico di famiglia, era anche quello che ti dava un consiglio per le piccole e grandi cose, quello che sapeva indirizzarti verso la scelta giusta”, m’hanno detto in molti, in questi giorni di dolore e di ricordi. Mio papà era tanti mondi. Quello del lavoro, che svolgeva con dedizione, passione, ingegno, in giro per la provincia di Torino e non solo. Idraulico, ma anche caldaista e manutentore di impianti nelle fonderie. Studiava e andava. Quello del bar, non uno, ma tutti o quasi: il “Brusa”, il “Mencagli”, “Lupo”, per citare gli ultimi dove gli amici l’aspettavano la mattina presto e la sera. Quello della politica, la sua passione: non l’ha mai fatta in prima linea, perché non era uomo da compromessi o da mediazioni. O bianco, o nero. Purché lì stesse il giusto. Ma quante discussioni, quante parole, quanti pensieri ha rivolto al futuro. E poi quello dei bambini: quanti ho visto piangere un nonno che nonno, di sangue, non era. “Esterino, non dormire!”. Non è facile ricordare in poche righe come queste la figura di un uomo buono, giusto e leale come mio papà. Troppo grande il segno che ha lasciato nella sua vita e persino nella malattia. Il mesotelioma, il male dell’amianto, l’abbiamo scoperto a dicembre. Da allora è iniziato un percorso di cura e speranza. Un percorso che abbiamo compiuto tutti insieme. Un percorso che in sei mesi esatti ci ha portato stretti alle tue mani, a casa, ad accompagnarti verso la serenità. E mentre ti guardavo respirare, finalmente non più sofferente, con gli occhi che avevano esaurito le lacrime e un vuoto già sordo nel cuore, ho pensato e mi sono ripetuto che “sì, papà, hai vinto tu!”. Perché questa bestia infame ti avrà anche strappato a tutti noi, familiari e amici, ma non ha trasfigurato l’Esterino che sei sempre stato. “Emiliano, dov’è Olivia? Portala giù in cortile, ci sono dei bambini che le voglio presentare...”. Era neanche due mesi fa. A giocare sullo scivolo e l’altalena, quattro bimbi africani, fuggiti all’orrore della guerra. Uno degli ultimi, meravigliosi, ricordi di te. Papà, mi mancherai sempre. Un grazie di cuore alla dottoressa Federica Grosso dell’Ufim di Alessandria, alla Samco di Chivasso e a Michela per le amorevoli cure prestate.
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