Tra i volumi esposti al Salone del Libro in Francoprovenzale, tenutosi a Ronco all’inizio di agosto, si poteva trovare anche l’opera più recente di Alexis Bétemps, il noto studioso valdostano della Lingua e della Cultura Francoprovenzali, presidente emerito del Centro Studi “René Willien”. Dopo aver partecipato alla cerimonia di apertura, in serata Bétemps aveva presentato il suo libro a Molino di Forzo, nell’accogliente saletta della Società Operaia di Mutuo Soccorso, nell’ambito dei “Rendez-Vous Francoprovenzali”. Il volume, pubblicato in Francia con il titolo di “Des Plantes, des Hommes” ed in Italia con quello di “Erbario” dalla casa editrice eporediese Priuli e Verlucca, è molto di più che un catalogo delle erbe conosciute ed utilizzate nelle montagne valdostane e, più in generale, in quelle francoprovenzali: è una ricerca sui legami tra gli esseri umani ed il mondo vegetale che, inutile dirlo, nel mondo rurale e contadino rivestivano un’importanza straordinaria poiché riguardavano ogni aspetto della vita degli individui e delle comunità. Le piante erano cibo per uomini ed animali, medicine, ma anche strumenti di gioco per i bambini; erano al centro di riti, credenze, usanze. La profonda conoscenza che se ne aveva faceva sì che venissero utilizzate nei modi e per le finalità più svariate, sfruttandone anche le caratteristiche negative. Il Millefoglie fa sanguinare il naso? Gli scolari svogliati se ne servivano per uscire in anticipo da scuola… Adulti e bambini guardavano ovviamente alle piante con occhi molto diversi: ai primi interessava il loro utilizzo pratico, ai secondi le possibilità di gioco che offrivano. I rami bassi dei pini, a sviluppo orizzontale, erano ottime altalene naturali ma – commenta Bétemps – “quanto lavoro supplementare per gli Angeli Custodi…!”. Le piante da frutto più coltivate erano meli e peri perché si conservavano a lungo così come avveniva per le rape, verdura seconda per importanza solo alle patate dato che entrambe “passavano l’inverno”. I bambini, per contro, prediligevano le ciliegie, primi frutti a maturare. I furtarelli di frutta erano all’ordine del giorno ma non erano dettati tanto dalla fame o dalla golosità quanto dal piacere della sfida: bisognava però andare lontano da casa per non farsi riconoscere. Il problema non era infatti la collera del contadino derubato ma il fatto che lo venissero a sapere i propri genitori, e sarebbero state botte da ricordarsene per un po’. All’inizio della primavera, a soddisfare il desiderio di cose dolci, erano i primi fiori: alle base delle corolle le primule sono zuccherine e così il trifoglio e la Barba di Becco…E il fieno? Che divertimento saltare sui mucchietti messi a seccare, ma guai a farlo sotto gli occhi dei grandi. Lo sguardo del contadino non aveva nulla di romantico: se le ragazze sospiravano sfogliando le margherite e cercavano i quadrifogli nei prati, i loro padri bruciavano senza rimorsi i rododendri – oggi così apprezzati – perché erano infestanti negli alpeggi. Tuttavia il ruolo simbolico e rituale delle piante era notevole ed andava dall’usanza di decorare le “reine” con le rose a quella di appendere un ramo di noce alla porta di casa nella notte di San Giovanni. A proposito di questa ricorrenza, fondamentale perché coincidente con il solstizio d’estate, se in Canavese il nome di “erba di San Giovanni” viene attribuito all’Iperico (ricco di proprietà medicamentose), in certe zone della Valle d’Aosta – lo ha scoperto Bétemps - se lo contendono ben otto specie diverse!
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