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IVREA. Mondo nuovo

IVREA. Mondo nuovo

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Ogni giorno che passa nuovi segnali ci dicono di come il declino socio-politico globale stia raggiungendo livelli infimi e sempre più pericolosi per la sopravvivenza stessa dell’umanità. Il moltiplicarsi del numero di carrette del mare o barconi semi-sgonfi in arrivo, con tutto il loro tragico seguito di morte, non è certo un fenomeno nuovo, ma l’Europa da una parte e il resto del mondo dall’altra si dimostrano impreparati quanto incapaci nell’arginare questo fenomeno epocale che non si può certo risolvere ergendo muri, elevando barriere di filo spinato o respingendo masse di disperati nei paesi dai quali sono fuggiti. Soluzioni disumane e comunque non risolutive che pensavamo relegate nei libri di storia. Come pensavamo, almeno quelli della mia generazione, relegata nei libri di storia la guerra e invece ci siamo trovati ad assistere, non molto tempo fa, a conflitti atroci nella vicina ex Jugoslavia e in rapida successione ad altri terribili fronti di morte in Kuwait, Iraq, Afghanistan, Cecenia, Libia, Siria e molti altri. Puro odio dell'uomo contro l'uomo. Negli Stati Uniti si sta materializzando l’incubo della possibile vittoria alle prossime elezioni presidenziali di un inquietante plurimiliardario che non perde occasione per manifestare il suo disprezzo verso gli immigrati, le donne, gli omosessuali e molto altro. I fenomeni, sottovalutati dai potentati mondiali, della nascita dell’ISIS e del terrorismo a sfondo religioso non sono altro che “effetti collaterali”, facilmente prevedibili, generati dalla rigidità delle  ideologie che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli. Analizzando lo status quo si rischia di farsi prendere dallo sconforto sentendosi inermi di fronte a questo sfacelo morale mentre diventa sempre più necessario innescare le forze attive e propositive che ancora ci sono nella società dando vita a nuove forme di resistenza. Per poter fare questo serve un punto di partenza che è la consapevolezza. Saremo infatti in grado di mettere in campo forze nuove solo quando sapremo riconoscere, esplicitandolo apertamente, di essere arrivati alla fine di una corsa tutta imperniata, anziché sulle relazioni e il rispetto tra gli uomini, sul denaro e sul profitto ad ogni costo anche a scapito dell’inviolabilità della stessa vita umana. Di fronte alle terribili immagini e storie che ci giungono dal cuore del Mediterraneo non riusciamo nemmeno più a indignarci, mentre inqualificabili politici non riescono nemmeno più a provare un minimo di pietà almeno per quei bambini, anche piccolissimi, affogati in mare, abbandonati morti sulle spiagge, rimasti orfani di genitori mai conosciuti. Domenica 22 maggio, presso l’aula magna del Polo Universitario di Ivrea, abbiamo dato vita, come associazione, ad un incontro pubblico all’interno di una tre giorni dedicata al paesaggio e alla paesologia; ospiti d’eccezione Antonella Tarpino, Marco Revelli e Franco Arminio. Qualcuno potrebbe chiedersi quale sia il nesso tra l’evento appena citato e quanto sottolineato nella prima parte di questo articolo. Molto, possiamo rispondere partendo dai temi trattati in quell'occasione. A partire dalla consapevolezza, che si manifesta oggi: dal punto di vista immateriale, con l’assenza di spiritualità e dalla bassezza di certi comportamenti umani, mentre dal punto di vista materiale tramite i territori marginali, le macerie e i fabbricati vuoti e spesso degradati che ormai costellano le periferie e/o i centri storici delle nostre città, Ivrea compresa. Si è cercato, partendo da lì, dalla macerie, dai margini, di individuare qualche spiraglio, qualche strada percorribile concretamente verso un futuro più giusto, pacifico ed equo. Scrive nel suo libro, “Spaesati”, la Tarpino: «Sono sempre più i territori, tanto più quelli ai margini, a offrire le ragioni profonde dello stare insieme delle comunità in sofferenza. Sempre più a quei luoghi sembra sia affidata l’estrema sfida di gruppi che, pur spesso costretti ad esistenze anonime negli abitati disgregati dalla violenza dei dissesti naturali o dalla speculazione edilizia, guardano ad essi nella ricerca attiva di profonde condivisioni. Mondi in lento movimento che, proprio in forza di una contaminazione tra memoria e aspettative di futuro, pongono le basi per pratiche di buona politica». E chi oggi non può definirsi una comunità in sofferenza? Ecco quindi la necessità di far gettare la maschera all’attuale classe politica che dovrà smetterla di fare finta che tutto va bene per continuare a gestire la cosa pubblica tramite ristretti comitati di affari che magari sviluppano le loro strategie sotto l’ala protettrice di un partito. Non è più tempo. Prima ne prenderemo tutti coscienza maggiori saranno le possibilità di uscire dalla palude. Giusto per fare un esempio che ci riguarda da vicino: l’intera area della ex Montefibre nasce da un’idea urbanistica sbagliata che invece di riconoscere e correggere in corsa si è tentato, poco responsabilmente, di giustificare peggiorandone gli effetti negativi sulla città sia dal punto di vista della vivibilità dell’area che da quello paesaggistico-ambientale che da quello giuridico-formale. Siamo drasticamente passati dal globale al locale non casualmente, ma proprio per rimarcare come sarebbe, a nostro modo di vedere, necessario affrontare i grandi problemi del mondo in cui viviamo mettendoci a disposizione della collettività partendo dal basso e dal piccolo; dai paesi, dalle città, dalle comunità, dai territori. Questo è l’impegno che Viviamo Ivrea sta mettendo in campo per far ripartire una città ingessata e che pare senza futuro approfittando del vantaggio di trovarci nella terra dell’utopia concreta di Adriano Olivetti. Facciamo quindi nostre le parole di Franco Arminio con le quali chiudiamo questo articolo:“Servirebbe una democrazia radicalmente locale, costruita da comunità provvisorie che si formano in ogni luogo e che in ogni luogo discutono col centro sulla forma da dare alle cose: può essere una piazza, può essere il modo di pagare le tasse o di produrre, può essere un'idea di scuola e un'idea di sanità. Una capillare manutenzione dal basso in cui le persone sono chiamate a discutere, a esprimere le proprie emozioni”. Franco Arminio teorizza Comunità provvisorie sostenendo che “l’Italia potrebbe diventare il laboratorio di un nuovo umanesimo […] intrecciando in ogni scelta importante competenze locali e contributi esterni. Intrecciando politica e poesia, economia e cultura, scrupolo e utopia”. Noi ci siamo e accogliamo volentieri tutti quelli che credono possibile cambiare il corso degli eventi partendo dall'uomo.
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