Franco Scarsella può ora, forse, riposare in pace. La scorsa settimana la Corte Suprema di Cassazione ha condannato a due anni e otto mesi di reclusione per il reato di calunnia Aleksander Ilic, il pentito serbo che nel luglio del 2007, da una cella del carcere di Vercelli, scrisse una lettera al sostituto procuratore di Torino Enrica Gabetta, chiedendo al magistrato di riaprire il caso dell’omicidio del parrucchiere di 48 anni di Verolengo. “Ulian Laurentiu è innocente, non è stato lui a uccidere Scarsella. Io conosco la verità, conosco il vero nome dell’assassino”. Scrisse, salvo poi ritrattare tutto dopo anni di indagine, in un’udienza del 2012 di fronte ai giudici della Corte d’Appello. “Io sono così, un po’ matto...”, si giustificò. Così oggi la Cassazione l’ha condannato. Ma perché si diede tanto credito alle rivelazioni di Ilic? Il caso dell’omicidio di Franco Scarsella, il parrucchiere di 48 anni scomparso il 5 agosto 2002 e ritrovato cadavere in un bosco di gaggie, a Pratoregio, il 4 settembre dello stesso anno, sembrava risolto da mo’, con la condanna a trent’anni di carcere di Ulian Laurentiu. Il femminiello romeno che oggi ha 36 anni e si trova rinchiuso in una cella delle Vallette, aveva 22 anni quando venne arrestato dai carabinieri con l’accusa pesante di omicidio: secondo gli inquirenti, dopo essersi appartato con il parrucchiere di Verolengo nelle campagne alla periferia di Chivasso, avrebbe colpito il compagno alla testa con il calcio di una pistola. A suo carico, indizi pesanti: in primis, i tabulati telefonici. E poi quella Fiat Punto di proprietà di Scarsella abbandonata in una piazzola di sosta della Torino-Milano, nei pressi di Novara, con le celle telefoniche che agganciarono in zona, in quei giorni, il telefonino di Laurentiu. A far riaprire un caso che per tutti era chiuso, nel luglio del 2007 spuntò appunto la lettera di Aleksander Ilic. Il pentito di giustizia spiegò di essere in grado di identificare il vero assassino di Franco Scarsella: per lui, sarebbe stato un minorenne italiano di Chivasso, che avrebbe commesso l'omicidio come rito “iniziatico” per dimostrare di poter entrare a far parte di un’organizzazione criminale locale. Interrogato dal pubblico ministero Gabetta, aveva dimostrato di conoscere piuttosto bene i luoghi in cui era stato trovato il corpo senza vita di del coiffeur di Verolengo. Inoltre, a conforto della sua tesi, c’era il risultato delle analisi compiute dai carabinieri della Sezione Investigazioni Scientifiche di Torino su una bottiglietta d’acqua rinvenuta sulla Punto del parrucchiere: erano state infatti rinvenute tracce di saliva appartenenti ad Ilic, segno che i due, evidentemente, si conoscevano e si erano anche frequentati. Da qui la richiesta di revisione del processo formulata dalla difesa di Laurentiu, la riapertura del caso e, a sorpresa, il clamoroso dietro front di fronte alla Corte d’Appello di Ilic, che s’è rimangiato tutto senza dare una plausibile giustificazione. La Corte di Cassazione l’ha definitivamente condannato la scorsa settimana. Ma i dubbi restano, come il sospetto che il pentito si sia rimangiato tutto per paura. Paura di aver fatto sì il nome giusto, ma di aver toccato il cognome della famiglia “sbagliata”...
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