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IVREA. Riforma costituzione, per non  cambiare

IVREA. Riforma costituzione, per non  cambiare

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  Se qualche lettore ha apprezzato la mia lunga dissertazione sulla restrizione di spazio democratico in atto nell’ambito dell’Istituzione del Consiglio Comunale non mancherà di trovare ulteriori conferme su questo “andazzo nazionale” confrontando le vicende locali con quelle che riguardano le sorti della nostra Costituzione. La Camera dei Deputati ha approvato l’11 gennaio 2016 il testo della Riforma Costituzionale proposto dal Governo Renzi nella versione votata nell’ottobre 2015 dal Senato e quindi si è chiusa la prima fase del procedimento di revisione previsto dall’art.138 della Costituzione vigente. Il testo fra tre mesi dovrà passare nuovamente all’esame del Senato e della Camera dei Deputati per la seconda lettura. Esso dovrà essere approvato, oppure bocciato, in blocco per cui il “sì” definitivo della Camera avrà luogo probabilmente il 12 aprile 2016. Poiché è previsto che non venga raggiunto il quorum dei due terzi dei parlamentari per l’approvazione definitiva, la parola passerà poi direttamente agli elettori: i singoli cittadini, i parlamentari, le regioni hanno tre mesi di tempo per chiedere il referendum confermativo che molto probabilmente sarà tenuto nell’ottobre del corrente anno. Il punto centrale di questa riforma - non discussa da un’Assemblea Costituente, ma formulata dal Governo ed imposta al Parlamento in sede di una normale legislatura - dovrebbe consistere nel superamento del bicameralismo paritario (detto anche “bicameralismo perfetto”) ed attuarne quindi uno differenziato. Il nuovo Senato, nel testo governativo, consisterà in 95 membri eletti dai Consigli regionali dei quali 74 consiglieri regionali e 21 sindaci, uno per ogni Regione. Del Senato faranno parte ancora gli ex Presidenti della Repubblica, mentre il Presidente della Repubblica in carica potrà eleggere 5 senatori. Appare chiaro che questo Senato, pur depotenziato, favorirà i contrasti tra gli interessi locali e un’unitaria politica nazionale e la mediazione avverrà solo entro la logica del compromesso partitocratico. La Camera dei Deputati dovrebbe consistere sempre in 630 membri, ma sarà l’unica che si esprimerà in sede di fiducia nei confronti del Governo; quindi essa avrà la preminenza legislativa e il nuovo Senato potrà esprimersi solo in alcuni temi. Il testo della nuova Costituzione, così come proposta dal Governo, prevede tre procedimenti legislativi: uno monocamerale, uno bicamerale ed uno monocamerale rinforzato. L’art.70 di questo testo elenca una lista di leggi bicamerali fra le quali quelle riguardanti la revisione costituzionale e i referendum, ma il nuovo Senato in realtà potrà esaminare, ma non decidere e potrà solo proporre modifiche. La parola finale spetterà sempre esclusivamente alla Camera dei Deputati. Per quanto riguarda le leggi popolari e i referendum serviranno 150 mila firme per una legge popolare, mentre per un referendum abrogativo saranno necessarie 800 mila firme e il quorum fissato al 51% dei votanti delle ultime elezioni politiche. Il Presidente della Repubblica non sarà affatto eletto dal popolo, ma da almeno i due terzi dei senatori e deputati, riuniti insieme, nei primi tre scrutini, mentre basteranno i tre quinti dal quarto scrutinio in poi. Dal settimo scrutinio il quorum sarà di tre quinti dei votanti. Un terzo dei senatori o un quarto dei deputati potranno chiedere alla Corte Costituzionale un giudizio preventivo sulle future leggi elettorali. Il testo governativo della riforma costituzionale tratta pure delle materie già previste dal titolo Quinto dell’attuale Costituzione riguardanti i compiti delle Regioni: molte di esse vengono riportate alla competenza statale e vengono eliminate le materie di competenza concorrente Stato-Regione. Verranno definitivamente eliminate le Province. Per i 100 senatori, pur con le ridotte funzioni, rimarrà invariata la cosiddetta immunità. Quando una Carta fondamentale perviene al termine del suo ciclo vitale si opera una frattura fra essa che esprime quella che viene chiamata Costituzione formale e la realtà sociale modificata che viene indicata come Costituzione materiale. Ogni tentativo di effettuare modifiche entro la logica sistemica della vecchia Costituzione formale è un’operazione mistificatrice e destinata a fallire. La Costituzione materiale attuale – ossia quella che tende a corrispondere alla società reale così come si è andata modificando nel tempo – dovrebbe essere la base di una Carta costituzionale nuova e quindi concretizzarsi, attraverso una Assemblea costituente, in una Costituzione formale diversa da quella in vigore dal 1948. In altre parole il nostro Paese dovrebbe esprimere una Costituzione storicamente valida in quanto la società nazionale è oggi irreversibilmente diversa in tutti i rapporti esistenti - fra centro e periferia, fra ceti e corpi sociali, fra raggruppamenti politici, nei modi di produzione e distribuzione dei beni pubblici e privati, nell’impostazione culturale, etica e religiosa - da quella che fu espressa subito dopo il Secondo conflitto mondiale, ben settanta anni fa. A questo punto, perciò, è necessario far chiarezza cioè operare una distinzione tra chi si oppone alla riforma costituzionale dell’attuale Governo per ritornare integralmente alla formulazione della superata Costituzione formale così come fu inizialmente redatta e chi invece, si oppone alle modifiche perché operate entro il sistema vigente, frutto appunto di quella vecchia Carta e ciò al fine di conservarlo pur nella sua caratterizzazione partitocratica, non più rappresentativa del popolo. Il primo tipo di opposizione è di chiusura ad ogni vero mutamento costituzionale, malgrado la Carta fondamentale faccia riferimento ad un tipo di società che non c’è più: atteggiamento reazionario conservatore; Il secondo tipo di opposizione invece è di apertura ad un nuovo assetto costituzionale che corrisponda alla realtà sociale come si è evoluta nel tempo: atteggiamento di realismo progressista. In uno scritto di una componente del Comitato per il No, recentemente costituitosi in relazione al referendum previsto per ottobre prossimo, la costituzionalista Carlassare, troviamo una chiara definizione della Costituzione materiale: essa si identifica «con i principi, valori e interessi di cui sono portatrici le forze dominanti o la forza dominante … I rapporti tra costituzione formale e materiale risultano chiari: la prima è valida perché – e nella misura in cui – rispecchia l’assetto sottostante, ossia i principi, valori e interessi di quelle forze che, perciò la sorreggono» (Lorenza CARLASSARE, Costituzione, voce in Lessico della politica, Ed. Lavoro, Roma, 1987, p. 127). Dunque le modifiche avvenute nella Costituzione materiale, nella società e nella sua consistenza organica e funzionale, hanno travolto la legittimità della Costituzione formale nel suo complesso: infatti chi può dire che in Italia l’attuale evoluzione avvenuta nel mondo del lavoro e della produzione, della cultura e della scuola, possa essere rappresenta dalle istituzioni dell’attuale sistema ?  Se una Costituzione irriformabile non viene radicalmente sostituita con una nuova, la riforma di quella vecchia viene attuata dagli epigoni del vecchio sistema duro a morire e la loro unica preoccupazione non può essere che quella di ridurre al massimo, se non di eliminare, i fattori e gli strumenti istituzionali di ricambio della classe politica. Per tutto questo, i pretestuosi motivi addotti dagli esponenti dell’attuale sistema politico – siano essi sostenitori del Governo oppure all’opposizione e comunque critici nei suoi confronti – contro ogni tentativo di riforma di ciò che è irriformabile non può che essere autoritario, antidemocratico, oligarchico, e via dicendo. Sennonché ogni involuzione autoritaria, antidemocratica, oligarchica etc. implica necessariamente la riduzione (numerica) dei gestori del potere, il che significa che buona parte di chi in precedenza partecipava (attivamente o meno) alla gestione del potere necessariamente ne rimane progressivamente fuori. Di qui il sorgere (e l’insorgere) di Comitati referendari per il No di sinistra, insieme al sorgere (e all’insorgere) dei Comitati referendari di destra specularmente analoghi. Anzi, dato che l’attuale Governo si deve reggere su di una maggioranza di fatto trasversale, anche gli schieramenti per il No o per il Sì sono trasversali. Chi vuole  abrogare la riforma di Renzi non propone riforme sostanzialmente diverse ma si limita a difendere un passato ormai irreversibilmente passato, difende non una stagione, ma due o tre stagioni della vita costituzionale italiana non contrapposte fra di loro ma in coerente successione (da De Gasperi a Craxi, da Berlusconi a Renzi). La preoccupazione per l’involuzione autoritaria, oligarchica e antidemocratica (involuzione reale ma anche prevedibile) per certe élites intellettuali che si stanno mobilitando è costituita in realtà dal solo pericolo di essere esclusi dal nuovo trend: stiamo nuovamente al Vengo anch’io. No tu no! In collaborazione con il Centro di Studi Politici e culturali del CESI
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