Luci soffuse e un silenzio carico di rispetto hanno invaso il palco del Teatrino Civico di Chivasso, in Piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa, la serata di lunedì 28 ottobre. In questa atmosfera è stato accolto Domenico Quirico, il giornalista de “La Stampa” che ha rischiato la vita per raccontare il dramma siriano. L’ospite è stato accolto dai chivassesi in occasione della cerimonia di chiusura del Festival della Letteratura, organizzato e gestito dalla Fondazione Novecento. La serata si è aperta con i ringraziamenti di Luigi Bionda, direttore della fondazione, e con il saluto del sindaco di Chivasso Libero Ciuffreda. Subito dopo, la parola è passata al giornalista Cosimo Caridi, che ha avuto l’onore di intervistare Domenico Quirico. L’evento, però, non può essere considerato solo uno scambio di battuta e risposta sui cinque lunghi mesi di prigionia dell’ospite. È stata una vera e propria lezione di vita, che ha avuto come tema centrale il ruolo del giornalista. “Io, come giornalista, posso raccontare solo ciò che vedo con i miei occhi e sento con le mie orecchie. Un vero giornalista ha il dovere di essere onesto con chi legge, riportando solo esperienze da lui vissute in modo diretto”. E continua: “ soprattutto, dobbiamo essere onesti con i protagonisti delle nostre notizie. Loro non devono mai chiederci dove eravamo quando lottavano o soffrivano. Se lo fanno, abbiamo fallito nel nostro lavoro”. Infatti, Quirico afferma che solo la condivisione della stessa esperienza da al giornalista il diritto di scrivere. Regola a cui lui si attiene scrupolosamente anche a costo della propria vita. E testimonianze, solo per citare alcuni esempi, sono i diversi viaggi intrapresi sui barconi insieme con gli immigrati diretti a Lampedusa in cerca di una vita migliore. O le torture subite dai siriani gheddafisti durante i cinque mesi di prigionia. Durante l’intervento, inoltre, il giornalista ha pronunciato, in riferimento alla sua esperienza personale, la parola fortuna: “ sono stato fortunato perché ho avuto la possibilità di conoscere i cattivi e di poterli solo io raccontare”. E continua: “sono stato fortunato perché, a differenza dei miei carcerieri, ho potuto riprendere la mia vita una volta liberato, perché ho avuto la possibilità di conoscere e amare profondamente i veri rivoluzionari della primavera araba”. Giovani siriani poveri che si sono ribellati all’idea di non poter avere un futuro. “ Soprattutto- aggiunge- la mia vicenda è niente in confronto alla sofferenza di venti milioni di persone; persone morte senza che sia stata riconosciuta loro un’identità. E io e i colleghi che erano con me abbiamo fallito perché non siamo riusciti a farlo. ” E dopo queste parole, i chivassesi non possono non essersi sentiti, per usare l’espressione di Quirico, fortunati ad aver assistito all’intervento e ad avere avuto l’occasione di interagire direttamente con lui al termine della serata, ponendo loro stessi delle domande.
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