La ‘ndrangheta a nord di Torino esiste ancora o no? S’intende dopo le famose inchieste Minotauro, Colpo di coda e San Michele? Quel che sta succedendo ve lo diciamo noi, anzi lo dice la Dia, nel tradizionale rapporto annuale, presentato la scorsa settimana a Roma. La ‘ndrangheta c’è e si sta pure riorganizzando, con particolare riferimento a Chivasso. Si muove sul territorio e fa affari con la droga. Tanta droga. Fiumi di droga. Un mercato per cui, i nuovi adepti, sarebbero pronti a tutto, anche ad uccidere. “Solo nel territorio di Chivasso - scrive la Dia - uno dei più inquinati dalla presenza della criminalità di provenienza ‘ndranghetista, si sono registrati alcuni episodi di tentato omicidio nei confronti di esponenti delle “famiglie” che, probabilmente, dimostrano l’esistenza di conflitti interni determinati dal “riposizionamento” conseguente agli sconvolgimenti che comunque l’operazione Minotauro e quelle conseguenti hanno determinato nel mondo della criminalità locale...” Il tutto, come sempre, nell’ottica del perseguimento del maggiore guadagno possibile. Ed è anche vero che se in Piemonte la malavita è molto organizzata nel mercato degli supefacenti, grazie ai numerosi e importanti collegamenti nazionali e, soprattutto, internazionali, questi ultimi principalmente in Sudamerica, non si fa mancare nulla anche sul versante dell’estorsione, dell’usura, e soprattutto del riciclaggio di proventi illeciti. “Questi ultimi - scrive la Dia - alimentano l’attività imprenditoriale svolta da molti mafiosi principalmente in un settore di elezione, quello dell’edilizia e del movimento terra, dove tradizionalmente e ancora oggi, si esplica in maniera assolutamente prevalente su ogni altro l’iniziativa imprenditoriale illecita. Oltre ad ambire a commesse private (favorite dalla possibilità di praticare prezzi più bassi violando le più elementari regole tecniche, fiscali e previdenziali) molto lucrose sono le commesse pubbliche in questo settore, e il fine di ottenerlo con qualsiasi mezzo è la ragione principale dell’interesse mafioso all’infiltrazione nella pubblica amministrazione.” Esemplificativo di ciò, e delle dinamiche concrete con cui tutto questo avviene (a partire dall’intervento nel momento elettorale fino poi alla gestione delle vicende), è quanto emerse nel processo Minotauro in occasione delle elezioni chivassesi del 2011, che portarono pochi mesi dopo alle dimissioni del sindaco Gianni De Mori (PD). Altri esempi significativi emergono anche dalla operazione San Michele laddove è in via di accertamento un tentativo di acquisizione di commesse per lavori pubblici di movimento terra per la realizzazione di opere pubbliche in Val di Susa. Le nuove strutture, stando alle nuove indagini in corso, sarebbero quelle tradizionali, divise in “locali” ed impostate in genere su base familiare. Scrive ancora la Dia: “Nuove generazioni di criminali sono succedute a quelle vecchie nell’ambito delle famiglie di sangue di più radicata tradizione mafiosa, mantenendo purtroppo un inalterato grado di pericolosità. Rispetto a quanto accade nella regione di origine, sembra manifestarsi una maggiore tendenza alla osmosi tra famiglie e provenienze territoriali diverse, ed anche alcuni criminali siciliani sono stati affiliati regolarmente all’interno dei “locali”. Non emergono, invece, affiliazioni per così dire “ufficiali” di soggetti di origine piemontese, che invece spesso agiscono come complici a vario titolo, specialmente nei settori dell’imprenditoria e dei reati contro la pubblica amministrazione. Non risultano allo stato forti contrasti con organizzazioni rivali, che in Piemonte non potrebbero che essere quelle di origine straniera, rispetto alle quali nessuna indagine svolta ha finora evidenziato motivi di attrito particolare....”.
I numeri di Mafia
Ammonta a 2,6 miliardi di euro il valore dei beni sequestrati alla criminalità organizzata nel 2015. Mentre quello delle confische si attesta sui 530 milioni di euro. I dati sono contenuti nel rapporto annuale della Direzione investigativa antimafia illustrato la scorsa settimana al Viminale, alla presenza del ministro dell'Interno, Angelino Alfano e del direttore della Dia, generale Nunzio Antonio Ferla. Proprio il ministro dell'Interno, ha sottolineato che "l'aggressione patrimoniale, insieme all'arresto dei latitanti e al carcere duro, sono i tre fronti su cui arrivano grandi risultati che hanno messo in difficoltà le organizzazioni mafiose". C'è, ha spiegato il generale Ferla, un calo vertiginoso circa gli omicidi delle mafie rispetto a 10-15 anni fa: le cosche sempre più privilegiano la corruzione alla violenza, rinunciando al 'controllo militare' del territorio e scegliendo, invece, una strategia di sommersione, evitando così di avere l'attenzione di media, magistratura e opinione pubblica. "Come dimostrano le recenti inchieste - ha osservato - le mafie tradizionali si sono evolute. Assistiamo, infatti, ad un'accentuata propensione all'espansione in aree di maggiore sviluppo rispetto ai territori d'elezione, dove, peraltro, le consorterie conservano un profondo radicamento e continuano ad esprimere un forte potere di influenza". E' stata poi la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi, a mettere in guardia sulle possibili complicità di cui godono le cosche. "Le mafie - ha evidenziato - sparano meno rispetto al passato, ma dobbiamo chiederci se ciò sia determinato dal fatto che trovano più consensi, più acquiescenza in una società più disponibile ad interloquire con i poteri mafiosi, a non contrastarli". La mafia che spara di meno, ha ammonito, "non è meno pericolosa, anzi, lo è di più perchè ci ruba una parte di libertà". La presidente dell'Antimafia ha quindi invocato "un Piano annuale per la lotta alle mafie, che sono un elemento grave nella vita del nostro Paese. Serve un maggiore coordinamento tra tutte le istituzioni: Governo, Parlamento, magistratura". Il rapporto della Dia indica la grande attenzione dedicata agli appalti. Nel 2015 sono stati 4.997 i monitoraggi condotti nei confronti di altrettante imprese. Nel complesso sono stati eseguiti accertamenti nei riguardi di oltre 40.289 persone fisiche. Per quanto riguarda il sequestro dei beni, esso ha riguardato in gran parte la criminalità organizzata siciliana (2,5 miliardi di euro sui quasi 2,7 complessivi); segue la 'ndrangheta (95 milioni di euro) e la camorra (30 milioni di euro). "Lo Stato - ha concluso il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti - può vincere la lotta alle mafie se lo vuole. Siamo sulla strada giusta, si avvicina la fine delle mafie così come le abbiamo conosciuto, ma occorre affrontarle efficacemente sul piano economico".
Beni confiscati in Canavese e Chivassese
Sono 181, fonte “Libera”, i beni confiscati nella sola regione Piemonte. Di questi, alcuni si trovano nel chivassese. A Chivasso c’è un bene confiscato in corso Galileo Ferraris 122. Si tratta di una villa, tre terreni agricoli ed un locale generico. Il Tribunale di Torino il 23 giugno 1997 dispose il sequestro dei beni, ritenendo che la “condotta di Stefano Ignazzi fosse assimilabile a quelle previste dall’art. 1 l. 1423/56 e che avesse la disponibilità di proventi derivanti da attività usuraie ed estorsive ex art. 14 l. 55/90”. La confisca avvenne il 22 settembre 2000. Il 2 febbraio 2008 è stato destinato congiuntamente al Comune per finalità istituzionali e sociali e al Corpo Forestale dello Stato. Il 4 giugno 2010 il Comune ha rinunciato in via definitiva al bene che è stato trasferito in via esclusiva al Corpo Forestale dello Stato. Il bene risulta gravato da ipoteca. A fine 2014 il Corpo Forestale dello Stato l’ha restituito al Comune. Il Consiglio comunale ha recentemente approvato la destinazione del bene, oltre a sede della Libera Università della Legalità, all’ospitalità di una decina di profughi. A Torrazza, in via Gramsci 21, c’è la villa di Rocco Schirripa, arrestato nei giorni scorsi per l’omicidio di Bruno Caccia. Il bene è gravato da ipoteca ed è dal 2009 nelle disponibilità dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati e che, a distanza di quasi sette anni, non è ancora stato assegnato. A Verolengo, un’abitazione in strada del Casale 55, confiscata il 19 giugno 1997, è stata assegnata al GVA, Gruppo Volontari Ambulanza, che ne ha fatto la propria sede. L’immobile era di proprietà di Francesco Schittino, raggiunto dell’ottobre del 1994 da un’ordinanza cautelare in carcere perché sospettato di appartenere all’organizzazione di tipo mafioso chiamata “Cosa Nostra”. A San Sebastiano c’è la “Cascina Bruno e Carla Caccia”, in via Serra Alta 6. Il bene apparteneva alla famiglia dei Belfiore: Domenico venne condannato all’ergastolo nel 1993 come mandante dell’omicidio del Procuratore Capo di Torino, Bruno Caccia, avvenuto il 26 giugno 1983. Oggi “Cascina Caccia” è diventata un punto di riferimento per i ragazzi di Libera: dal 2007 è stata assegnata al Gruppo Abele.
Commentiscrivi/Scopri i commenti
Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce
Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter
...
Dentro la notiziaLa newsletter del giornale La Voce
LA VOCE DEL CANAVESE Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.