Fausto De Stefani (a sinistra nella foto), classe 1952, mantovano della pianura, ha conquistato tutte e 14 le cime oltre gli 8000 (nel periodo 1983-1998), secondo italiano dopo Reinhold Messner, sesto al mondo. Sabato 12 dicembre, in un evento organizzato dal CAI di Chivasso, incontra il pubblico, in realtà non per parlare di sé ma del terremoto in Nepal e del suo impegno umanitario a favore della popolazione locale, perché Fausto De Stefani non è solo un grande dell’alpinismo, ma tiene a mettere in secondo piano le sue imprese epiche per far diventare protagonisti i deboli. L’impegno in Nepal nasce prima della catastrofe: con il supporto della Fondazione Senza frontiere – Onlus di Castel Goffredo l’alpinista ha avviato il progetto Rarahil che ha portato alla realizzazione di una scuola nella cittadina di Kirtipur, insieme ad una serie di altri edifici, un ambulatorio medico, laboratori artigianali, una mensa che nei giorni nefasti del sisma sono diventati strutture di supporto per l’emergenza. La stampa, lamenta De Stefani, ha rapidamente dimenticato il Nepal e le sue vittime volgendo lo sguardo altrove; per tenere viva la memoria della gente, lontana con gli occhi e la mente dagli eventi non occidentali, Fausto ha realizzato un filmato: le immagini mostrano le ferite ancora sanguinanti aperte dallo scontro geofisico tra l’India e il continente eurasiatico, in alcune si vedono i templi hindu e buddisti della valle di Kathmandu, patrimonio dell’UNESCO, prima del crollo e dopo, cumuli di macerie inanimati circondati da centri storici puntellati per contrastare la forza di gravità; in altre corpi impolverati vengono trascinati su prati adiacenti e coperti con lenzuoli bianchi, in altre lo stesso De Stefani lancia un appello perché la comunità internazionale non dimentichi e resti al fianco del Nepal. Al termine della proiezione il silenzio in sala dice più di mille parole. Prima di lasciarlo andare è d’obbligo qualche domanda sulla passione che l’ha portato sui rilievi più alti del pianeta; Fausto da solo riempie la sala, ti dà l’impressione di uno che è andato oltre e ha visto e ha capito, mentre tu spettatore sei ancora pieno di perplessità sul significato della vita, lo guardi e vorresti restare con lui per ore perché ti dia un indizio; racconta di un vecchio, Mandelo, la sua ispirazione sarebbe stata la scintilla per quello che poi venne dopo; si legge nel suo “Un viaggio lungo una fiaba”: “A quel tempo ero ancora bambino. Ricordo di aver scoperto la magia delle parole ascoltando una storia. Quelle parole potevano raggiungere qualsiasi luogo grazie a una voce. Non era una voce come tante; anzi non somigliava a nessun’altra. La sua delicatezza provenica da un animo abituato a dialogare con i fiori e con il cielo. Invitava l’immaginazione a seguirla in viaggi meravigliosi. Quella voce apparteneva a un vecchio”. Fausto non si perde in particolari sul pericolo che accompagna l’ascensione sul tetto del mondo, lascia da parte l’aspetto muscolare e ti dice: “Scalare le montagne è una cosa inutile, ma è proprio per questo che è un piacere…non a caso l’alpinismo sportivo venne quando ci eravamo saziati tutti la pancia”. Un campione nello sport e nella vita.
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