La notizia è di quelle da perderci il sonno la notte. “Così facendo, cosa pretendono di fare? Affossare il commercio cittadino? Metterci un bel cappio al collo?”. Enzo Aglioso di “Dietosan”, co-titolare insieme alla moglie della parafarmacia di piazza Carletti 3, ha il dente avvelenato con l’amministrazione comunale. In primis, con l’assessore al Commercio Claudia Buo. “Ma almeno avrebbero potuto avvisarci che sarebbero arrivate queste mazzate, no?!”, tuona, mentre stringe tra le mani il verbale che gli è arrivato in negozio al rientro dalle ferie. 569 euro da pagare sull’unghia, entro sessanta giorni. Il motivo della sanzione è all’apparenza talmente banale da non credere. Appunto, da perderci il sonno la notte se si ha un’attività commerciale in città e si ha il sospetto di essere caduti nella “trappola”. Sì, una “trappola”: la chiamiamo così perché non ci viene in mente un’altra parola più appropriata, ed educata, per descrivere l’applicazione alla lettera, quattordici anni dopo, di una disposizione del regolamento comunale sulle pubbliche affisioni e sulla pubblicità di cui sinora nessuno, ma proprio nessuno, aveva sentito parlare. “Dietosan” è infatti stata multata di 569 euro perché nella sua vetrina aveva cartelli pubblicitari con marchi per una superficie complessiva superiore ai 5 metri quadrati. Insomma: pubblicizzava prodotti cosmetici, dietetici, omeopatici, con cartelloni troppo grandi. “Ogni anno paghiamo regolarmente la tassa sulle pubbliche affissioni - spiega Aglioso -. In ventotto anni che siamo qui a Chivasso non mi era mai successa una cosa del genere. Sono venuti incaricati della Maggioli Tributi spa, la società che ha in appalto la riscossione dei tributi del Comune, hanno fotografato le mie vetrine su piazza Carletti e via San Marco, et voilà, ecco la multa. Ma perché prima non si sono comportati alla stessa maniera? Perché, tutto d’un tratto, si ricordano che esiste quest’articolo del regolamento e ci vengono a massacrare così? Il mio è il verbale numero 15. Significa che in città almeno altre 14 attività hanno subito lo stesso trattamento. E’ una vergogna...”. “Ho provato a chiedere spiegazioni in Comune - prosegue -, mi hanno risposto che è un’iniziativa della Maggioli. Ma stiamo scherzando? Ma è questo il modo di tutelare noi commercianti?”. A pensar male si fa peccato ma è chiaro che, essendo in scadenza al 31 dicembre 2013 il mandato della società che ha sede legale a Rimini, la stessa abbia tutta l’intenzione di far cassa più che si può alle spalle dei contribuenti chivassesi. Approfittando del silenzio assenso di un’amministrazione comunale che, anziché stare dalla parte dei cittadini e dei commercianti, già tartassati da aumenti dell’iva, dall’introduzione della tares, e da chi più ne ha più ne metta, preferisce lavarsene le mani. “C’è un regolamento? Sì, e allora va rispettato”: è sicuramente il pensiero che corre nelle teste di chi siede a Palazzo Santa Chiara. Ma allora, per i quattordici anni precedenti, perché se ne sono impippati? Perché fino a fine agosto si potevano esporre bellamente cartelloni pubblicitari nei negozi delle dimensioni che ciascuno voleva? Delle due, l’una: o si è troppo fiscali oggi, oppure non s’è fatto il proprio dovere negli anni passati. E la seconda ipotesi è ben più grave perché potrebbe configurare il reato di omissione d’atti d’ufficio. Certo è che, nel 2013, con un negozio ogni due che chiude, quest’ennesima sorpresa arrivata lì, tra capo e collo, è l’ultima stretta alla giugulare di una categoria che boccheggia, soffocata dalla crisi. Per la cronaca, in un anno di amministrazione Ciuffreda, chi ha un’attività a Chivasso s’è visto costretto prima a prendere il metro per misurare tutti i millimetri fino all’ultimo per dichiarare correttamente la superficie della propria attività ai fini degli accertamenti sulla tassa rifiuti. Quindi, oggi, s’è visto costretto a riprendere di nuovo in mano il metro per misurare fino all’ultimo spigolo i cartelloni pubblicitari che ha messo in vetrina. Domani, cosa si pretenderà ancora? In una città dove la criminalità organizzata, la ‘ndrangheta, colpisce un negozio una settimana sì e l’altra pure, se è su questo che il sindaco vuole inculcare ed educare con le sue lezioni il rispetto del principio della legalità, allora siamo fritti, panati. “Era meglio morire da piccoli, con i peli del culo batuffoli, che morire da grandi soldati, con i peli del culo bruciati”, cantavano Paolo Rossi, Piero Chiambretti ed Enzo Jannacci nella trasmissione tv “Il laureato”, vent’anni fa. Ragazzi, commercianti, si salvi chi può. Prima di ritrovarci cornuti, mazziati e inculati con una vetrina bruciata e un verbale infilato tra le chiappe. Signor sindaco, ci perdoni la volgarità che non le sarà gradita, ma quando “ce vò, ce vò”!
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