Il quotidiano "La Stampa" del 10 novembre 1900, con il titolo "Gli spiriti devastatori di via Bava", dava notizia di fenomeni straordinari che accadevano in uno spaccio di vini e liquori situato al numero 6 di via Bava che inizia da piazza Vittorio Emanuele I. Il fatto accaduto a Torino è ormai dimenticato e interessò gli studiosi di fenomeni paranormali, italiani, francesi e tedeschi. Il locale conosciuto anche come "Bottiglieria Cinzano" si componeva di una vasta sala con numerosi tavoli per gli avventori e illuminata da una porta a vetri e da una finestra che guardavano sulla via stessa. Una porticina sotto l'androne, un’altra finestra sul cortile ed una scaletta, portava ad un soppalco che serviva da camera da letto riservato ai proprietari, i coniugi Fumero, nativi di Nole Canavese e ad un garzone della bottega. I fenomeni cominciarono ai primi di novembre: delle bottiglie di vino, deposte alla sera in un armadio in cucina, al mattino erano sparite, cosa che si verificò per più giorni. Si pensò naturalmente a qualcuno che le rubasse, così i proprietari montarono di guardia dalla chiusura del negozio fino all'apertura del mattino, ma le bottiglie sparivano lo stesso e così anche dei prodotti commestibili. Improvvisamente il 16 novembre, sotto gli occhi della signora Fumero e del garzone, un recipiente contenente del liquore e posato sul tavolo della cucina, cominciò lentamente a inclinarsi da solo e rovesciò tutto il contenuto. Il giorno dopo si trovava in cucina un conoscente, il signor Raynero proprietario dei bagni dell'Annunziata in via Po 51 e assistette stupefatto al rovesciamento di molte caraffe che vuotarono il loro contenuto sul pavimento, poi come afferrate da una mano invisibile, si sollevarono una dietro l'altra e andarono ad infrangersi contro le pareti. Poi fu la volta di alcune casseruole che si staccarono dai ganci dove erano appese e cominciarono a volteggiare in tutte le direzioni all’interno della cucina. Infine seguirono le sedie che sbattute con violenza contro i muri si sfasciarono, mentre dei pesanti armadi si spostavano come fossero diventati improvvisamente senza peso, dei bicchieri dopo essere stati per alcuni istanti sospesi in aria, scomparvero, si dissolsero e non vennero mai più ritrovati. Numerosi avventori che si trovavano nel locale, richiamati dal fracasso e dalle grida della proprietaria e del garzone, assistettero anch'essi a quei fenomeni. Un fatto venne anche notato: il gatto che solitamente se ne stava tranquillo e quieto iu un angolo del locale, pareva invaso da furore, spiccava salti e balzava da una parete all'altra con il pelo irto, mentre mandava miagolii rabbiosi. Il giorno dopo, alla presenza di numerose persone, tra le quali il signor De Agostini proprietario di un pastificio in via Matteo Pescatori, il contabile Pietro Marini, il carpentiere FeliceZoppetti, i fenomeni ripresero e oltre alle bottiglie e bicchieri, tavoli e sedie iniziarono sinistramente a spostarsi da soli. Dal soppalco si aprì un armadio ed i vestiti cominciarono a svolazzare da tutte le parti, la signora Fumero cercò di afferrarli e con sua grande sorpresa sentì una consistenza che si sottrasse alla presa, lo disse ai presenti che disorientati si misero all'inseguimento di quel qualcosa che sembrava sfuggisse e tutti furono sfiorati da una invisibile massa gelatinosa. La voce di quei fenomeni giunse al celebre professore Cesare Lombroso che si recò al negozio e assistette a tutta quella serie di manifestazioni che naturalmente lo interessarono molto e per essere sicuro che la signora Fumero e il garzone tredicenne, inconsciamente producessero i fenomeni, consigliò la proprietaria di recarsi a Nole Canavese suo paese natale, mentre il ragazzo raggiungeva i suoi genitori nei pressi della città. Cesare Lombroso notò come una sorta di ombra molto vaga pareva muoversi per i vari locali e proprio allora cominciavano a spostarsi i mobili e ad infrangersi contro le pareti i recipienti di vino. Una grossa damigiana di cinquanta litri posata sul banco di mescita cominciò a sollevarsi lentamente sotto gli sguardi terrorizzati di molti avventori. Oltre al Professore Lombroso, si trovava presente anche il maresciallo di polizia Cavallo, che inizialmente incredulo, era voluto intervenire, e con interesse osservarono nuovamente il comportamento del gatto: un grosso soriano. Il felino sonnecchiava su una sedia, aprì gli occhi guardando in direzione della damigiana, poi si alzò e lentamente protese il capo, soffiò, preparandosi a scattare con la bocca aperta, pronto ad azzannare, la coda gonfia e sollevata, saltò giù dalla sedia e si avvicinò al banco. Avanzò adagio quasi strisciando, poi scattò sollevandosi sulle zampe posteriori, le anteriori protese con le unghie scoperte, diede delle zampate contro qualche cosa che sembrava vedesse solo lui, azzannò con rabbia e ricadde sul pavimento. La damigiana quella volta si posò bruscamente sul banco senza rompersi. I fenomeni cessarono per qualche giorno poi ripresero e questa volta nella cantina. Il Professore Lombroso e il maresciallo Cavallo vi si recarono e queste sono le parole di Lombroso: "Entrai nella cantina in piena oscurità e camminai sui cocci di molte bottiglie, uno scaffale di cinque piani ne conteneva delle centinaia, al centro un grosso tavolo, vi posai sopra sei candele che accesi tutte, come se qualcuno o qualche cosa non aspettassero che la luce, cominciarono delle bottiglie a oscillare, poi rapide dallo scaffale, come scagliate, venivano ad infrangersi contro il tavolo. Per essere sicuro che non si trattasse di qualche trucco, esaminai attentamente tutti i piani dello scaffale, non vidi fili o aperture da dove fosse possibile con una piccola spinta farle cadere. Nel giro di qualche minuto, otto bottiglie si sollevarono, questa volta dolcemente, come se una mano invisibile le afferrasse, dal secondo e dal terzo piano dello scaffale, poi si infransero sul pavimento bagnato di vino, vi fu un quarto d'ora di tranquillità, poi le bottiglie cominciarono ad infrangersi rapidamente una dopo l'altra finchè non ne rimase più una intatta". Cesare Lombroso pubblicò su questi fenomeni che durarono a lungo e si estesero persino in alcuni appartamenti della casa, costringendo molti inquilini impauriti a cambiare casa, una lunga e dettagliata relazione su "Archivio di Psichiatria","Scienze Penali" e "Antropologia Criminale". Nonostante sia necessario ammettere che alcune teorie di Lombroso erano a dir poco strampalate e il suo museo degli orrori un esperimento che sfiorava l’incubo, non fu solo lui testimone dei fatti, ma soprattutto gente comune che semplicemente frequentava quel locale di mescita. Qualche tempo dopo, quando la bottiglieria era deserta, fu necessario fare dei lavori nella famosa cantina e proprio in centro a circa un metro di profondità, venne alla luce uno scheletro che portava infisso tra le costole in direzione del cuore un lungo pugnale dalla lama ormai arrugginita. Non vi era dubbio che si trattava di un delitto, si fecero molte congetture ma non si giunse ad una conclusione, l'esame dei resti stabilì che risalivano ad una sessantina di anni prima. In seguito il caso sembrò portare a fare luce sul mistero dello scheletro. Un giovane avvocato riordinando l'archivio del nonno, trovò in una busta un testamento, di cui era beneficiaria una donna: LorenzaMainero e datato 1842. Il fatto strano è che la donna entrò, pochi mesi dopo, in possesso di quanto le era stato assegnato, in seguito alla sparizione inesplicabile del testatore. L'avvocato, incuriosito, volle fare delle ricerche e scoprì che la Mainero era sposata con Antonio Barbero e abitavano in Contrada del Moschino, poi di San Massimo ed alla fine, con il nome del vincitore di Goito, EusebioBava, al numero 6. Riuscì anche a rintracciare una denuncia della moglie sulla sparizione del marito. L'archivio occupava una camera intera, migliaia di documenti si trovavano racchiusi in polverose cartelle; l'avvocato continuò le sue ricerche e dopo aver consultato centinaia di scritti rinvenne una lettera indirizzata a suo nonno in data 14 aprile 1843 di Lorenza Mainero con la quale confessava di avere in un impeto di gelosia ucciso il marito, il quale si era innamorato di una vicina di casa. Effettivamente la Mainero aveva ucciso il marito, ma non per gelosia; lo uccise perchè temeva che Antonio cambiasse testamento in favore dell'amante, lasciandola così senza mezzi. La Mainero aveva attirato il marito in cantina e pugnalato di sorpresa, poi scavata una fossa lo aveva seppellito e dopo aver lasciato trascorrere alcune settimane ne aveva denunciato la scomparsa. Forse in preda al rimorso aveva in seguito scritto quella lettera confessione, ma sapendo che non poteva sfuggire alla giustizia, appena l'avvocato l'avesse fatta pervenire alla polizia, fuggì in Francia e di lei non si seppe più nulla. Quei resti seppelliti in terra consacrata diedero pace all'anima che in tutti quegli anni aveva errato, covando una rabbia che era esplosa improvvisamente nella bottiglieria e nella cantina, quasi a segnalare che in quel luogo si trovava il suo corpo. Dopo la scoperta dello scheletro tutti i fenomeni cessarono e nello stabile ritornò la tranquillità. LA FOTO E' TRATTA DA http://www.mole24.it/2013/10/23/via-bava/
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