Più volte abbiamo toccato il tema del deficit di democrazia e delle evidenti criticità che caratterizzano i partiti del terzo millennio. Qualcuno ci accusa per questo di essere eccessivamente duri, ma non è così e proviamo a spiegare il perché. Ovviamente non possiamo in poche righe dare vita ad un trattato di storia dei partiti e delle istituzioni politiche però alcuni passaggi importanti li possiamo citare. Si sa che i partiti politici, almeno i grandi partiti di massa, nascono agli inizi del '900 per andare incontro alla necessità delle persone di poter partecipare in qualche modo ai vari processi decisionali che prima della loro nascita erano tutti saldamente nelle mani di ristretti gruppi di potere che ruotavano intorno a figure più o meno legittimate a decidere le sorti di Stati e Nazioni. Di quel tempo vanno evidenziati: un corpo elettorale molto più esiguo dell'attuale, che contava poco più di un milione di votanti, e l'alto livello di analfabetismo. Queste due condizioni fecero si che la politica poté rimanere per molto tempo nelle mani di pochi, soprattutto di persone con un censo elevato. I partiti di massa nascono proprio per superare questo deficit di partecipazione e si organizzano in modo tale da poter avvicinare un maggior numero di cittadini alla politica. Grazie ad una struttura ramificata sull'intero territorio nazionale nascono circoli e sezioni ognuno dei quali elegge al proprio interno dei rappresentanti che poi parteciperanno alla formazione dei quadri provinciali, regionali e poi nazionali. In linea teorica, ed in alcuni casi è accaduto, persone non abbienti, ma dotate di grande spirito civico e passione politica, hanno potuto intraprendere, grazie all'aiuto del partito di riferimento, la carriera politica. Si susseguiranno molte battaglie epocali da quelle per i diritti civili in genere a quelle per nuove forme di governo e si arriva alla grande stagione della democrazia. I padri costituenti, sapendo deporre le bandiere e i vessilli, riescono a dare vita ad una Costituzione, quella della Repubblica Italiana, che diventerà esempio per altri Stati e Nazioni che ne adotteranno diversi princípi. Viene finalmente concesso il voto alle donne e pare aprirsi una stagione di progresso e di prosperità, non solo materiali, destinata a durare a lungo. Purtroppo, come spesso accade, raggiunto un successo ci si siede, si allentano i controlli e la spinta propulsiva viene meno. Ecco quindi che all'interno dei partiti cominciano a incunearsi profittatori di ogni tipo che lentamente, ma con caparbietà riusciranno a snaturare l'essenza stessa di queste forme di organizzazione che, giova ricordare, non sono regolamentati da alcuna legge, come i sindacati (non entriamo in questa sede nel merito del perché e del per come). Questa situazione di crescente degenerazione non trova ostacoli da parte della società civile confusa e ingannata da una presunta crescita economica che pareva senza limiti. Nonostante i molti avvertimenti il treno ha continuato a correre facendo finta che tutto funzionasse per il meglio e corri corri arriviamo al muro di Tangentopoli nel 1992 sul quale il treno, ormai ad alta velocità, ma non dotato della necessaria capacità di frenata, si schianta. Dalla prima passiamo alla seconda Repubblica, ma è ormai acclarato che il livello di corruzione e di malaffare che circonda i partiti invece di diminuire è aumentato, sono solo cambiate le modalità, e grazie a ciò diventiamo uno dei fanalini di coda nella classifica dei paesi con maggior trasparenza e legalità. E siamo ad oggi dove tra Mafia capitale, Mose di Venezia, Ponte sullo Stretto, disastri idrogeologici ricorrenti, scandali e sprechi di ogni tipo il nostro Bel Paese sta andando a rotoli. È un'eresia, alla luce dello status quo, dire che gli attuali partiti non sono più in grado di gestire con oculatezza e parsimonia il Bene Comune? Va chiarito che una riforma in senso democratico e partecipativo dei partiti non è l'unico problema da affrontare per risollevare le nostre sorti. Un'altra grande questione estremamente attuale è quella del tipo di democrazia della quale ci vorremmo dotare dando per assodato che la democrazia "rappresentativa", nata in un'epoca totalmente differente dalla nostra, da tempo sta dando evidenti segnali di cedimento che rendono sempre più chiaro il passaggio del potere dal "popolo" ad una serie di "poteri forti" tutti ruotanti intorno a ciniche strategie di predazione e di ricerca di profitti personali. In chiusura di articolo ci teniamo a chiarire che una critica anche dura ai partiti non vuol dire esprimere un giudizio negativo su quelle persone che con onestà, passione, abnegazione, tentano di cambiare le cose dall'interno. Crediamo però, alla luce della realtà fattuale emersa negli ultimi decenni, che operazioni di questo tipo, quando sono state tentate, sono miseramente fallite. La nostra proposta è di mettere da parte polverose liturgie partitocratiche per dare vita ad un dibattito, partendo dal locale, con tutte le forze politiche attive sul territorio alla ricerca di nuove forme di democrazia "deliberativa" capaci di guardare ai reali bisogni dei cittadini e alla salvaguardia del bene comune. Un'idea che sintetizziamo prendendo a prestito una definizione di Franco Arminio: "Serve una democrazia radicalmente locale, costruita da comunità provvisorie che si formano in ogni luogo e in ogni luogo discutono col centro sulla forma da dare alle cose: può essere una piazza, può essere il modo di pagare le tasse o di produrre, può essere un'idea di scuola o di sanità. Una capillare manutenzione dal basso in cui le persone sono chiamate a discutere e a esprimere le proprie emozioni".
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