“Tutti i fuochi di resistenza e di rivolta sono sempre stati innescati da atti di coraggio, spesso di singoli o di pochi, e sovente pagati con la vita” La turbolente vita di Olivero Capello, inizia già dalla sua nascita. Le incertezze relative alle sue origini familiari, gli attribuiscono un padre di professione “Cancelliere” e addirittura due mogli, nobili casalesi. Finalmente il testamento conservato nel Municipio di Casale Monferrato, redatto nel 1564, stabilisce che il padre di Oliviero Capello non era né “Giovanni Il Cancelliere” e tantomeno un certo Nicolò, ma il “Magnificus Doctor Dominus Laureantis”, e non fu neanche bigamo, perché la sua unica moglie, da cui ebbe due figli, era la nobildonna Petronilla Malopera. Esaminandolo più a fondo, appuriamo che la figlia Primogenita, Fulvia Capello e il fratello Mario, erano, la prima, ancora infante e il secondo minorenne, quando il documento venne compilato. Ciò che rimane ancora un mistero è la data di nascita del padre, che si potrebbe far risalire all’incirca tra il 1510 e il 1520 nella città di Casale Monferrato. E’ invece ben noto che la famiglia Capello era tra le più antiche della città, partecipando quasi ininterrottamente all’attività comunale già dal XIV secolo. Ovviamente fu destinato alla professione “Forense”, essendo egli stesso legato alla professione notarile e naturalmente si dedicò, come era solito in quei periodi, agli studi giuridici, diventando “Giureconsulto” nell’anno 1536, e poi sempre riconosciuto con questo “Titolo”, nei documenti che ne seguiranno. Oltre alle importanti considerazioni sulle future imprese militari di Oliviero Capello, è importante soffermarsi sulle disposizioni testamentarie che egli redasse il 18 giugno 1564, nelle quali si evince una personalità semplice ed onesta, ma anche un carattere accorto e prudente. Insomma , uno spirito indipendente, fiero e schietto fino alla più completa assenza di qualsiasi conformismo. Fu marito e padre tenerissimo, senza esitare minimamente nel decidere una forte riduzione della dote della figlia Fulvia, qualora avesse deciso di entrare in convento. Per sé, fatto non consueto per quei tempi, decide senza il minimo dubbio, per la cremazione. Delle sue ingenti somme appare oculatissimo amministratore, ma anche generoso dispensatore; non trascurando mai di beneficiare, oltre agli amici e ai servitori, le comunità monferrine colpite dalla pesante guerra. Ebbe una particolarissima cura per il feudo di Cortandone, da lui acquistato il 31 marzo 1565 con le dovute patenti di nobiltà; invece il figlio Mario, irrispettoso delle volontà paterne, ne alienò già una parte nel 1591. Nell’anno 1566 invece, il Capello è attivissimo nel prendere parte alla vita pubblica cittadina di Casale Monferrato come Consigliere Comunale e tra il 1561 e il 1563, ricopre per almeno due, se non forse tre volte il “Proconsolato”, cioè l’antico ufficio di durata “Semesurale”. In pratica si trattava di un’amministrazione repubblicana, unica in Italia a quel tempo, nella quale i “Proconsoli” eletti dal popolo, esercitavano un potere oligarchico, estremamente geloso delle proprie prerogative. Di questa attività ne rimane traccia in alcune disposizioni riguardanti la costruzione nel feudo di Cortandone, dell’Arca di Sant’Evasio del 1563 e fu anche una delle ragioni dei molti contrasti con i potenti del suo tempo. Questo preambolo è necessario per un sincero ritratto di Oliviero Capello, prima di considerare obiettivamente i successivi eventi d’armi che lo riguarderanno e che certamente più avanti andremo a narrare. Nello Stato del Monferrato, agli inizi del 1500, la dinastia dei “Paleologi”, non poteva più contare su uno stuolo di eredi diretti, tant’è che quando Guglielmo IX morì nel 1518, legittimo erede era soltanto un bambino di sei anni: Bonifacio IV; così l’energica ed ambiziosa vedova di Guglielmo: la principessa francese Anna d’Alençon, si fece consegnare dalla “Cesarea Maestà” dell’Imperatore Carlo V di Spagna, l’investitura del Monferrato, in nome del figlioletto Bonifacio, divenendone così ufficialmente la reggente. Anna era sempre stata bisognosa di denaro e doveva continuamente chiedere prestiti a ricchi mercanti milanesi, fiorentini e genovesi. Arrivò addirittura al punto di cercare di aumentare il prestigio dello Stato e del figlio, dando in pegno i suoi gioielli per “ricuperare somme necessarie per il viaggio e la residenza”, per mettere in mostra suo figlio Bonifacio invitato alla Corte di Carlo V. Comunque, tutte le sue speranze di vedere il giovane Marchese, imporsi sugli altri Signori del Piemonte, crollarono quando egli morì nel 1530, non ancora ventenne, per una caduta da cavallo al Ronzone, un sobborgo di Casale Monferrato, senza lasciare figli, aprendosi di conseguenza una nuova lotta per la successione dell’ambito Stato del Monferrato. Si fece così un tentativo con l’ultimo appartenente all'antica famiglia bizantina dei Paleologi: Giovanni Giorgio Paleologo, detto anche Giangiorgio. Fratello del defunto Guglielmo IX, che essendo anche “Abate e Commendatario di Lucedio”, non gli fu difficile ottenere da Papa Clemente VII, la riduzione allo stato laicale, così i Monferrini poterono salutare in lui il nuovo Signore. Naturalmente gli fu immediatamente assegnata Giulia d’Aragona, una sposa di sangue reale, ma purtroppo, mentre erano ancora in corso i festeggiamenti nunziali, Giangiorgio improvvisamente ebbe un malore. Naturalmente si parlò immediatamente di un complotto politico, ma non fu proprio così: quando Bonifacio IV morì precocemente, in seguito alla caduta da cavallo, Giangiorgio stava ereditando il Marchesato già presagendo la propria imminente fine. I medici infatti, gli avevano predetto pochi anni di vita a causa di una malattia all'apparato digerente. Pertanto il neo-incoronato marchese dovette sottoscrivere quasi immediatamente il nome del suo successore. La scelta cadde sulla nipote Maria di soli otto anni, il cui matrimonio con il marchese di Mantova Federico Gonzaga, diventò, su richiesta di quest'ultimo, annullato in quanto “rato e non consumato”. Avendo però avuto notizia, anche se tardamente, della prematura scomparsa di Bonifacio IV, Federico Gonzaga si sentì sempre più coinvolto nelle faccende del Marchesato Piemontese. Corse pertanto ai ripari cercando di ottenere la revoca del precedente annullamento del matrimonio con Maria Paleologa e nel tentativo di riprenderla come consorte arrivò troppo tardi: pochi giorni dopo Maria morirà. In un disperato tentativo di far perdurare la linea maschile dei Paleologi, Giovanni Giorgio accetta ugualmente la proposta imperiale di sposare Giulia d'Aragona, donna però ormai non più giovane. Il matrimonio viene celebrato il 21 aprile 1533 nonostante Giangiorgio sia in fin di vita e il 30 aprile l'ultimo dei Paleologi si spegne senza lasciare eredi. Federico II Gonzaga sposerà il 3 ottobre 1531 la sorella della defunta Maria, Margherita, figlia di Anna d’Alençon, ottenendo così il controllo parallelo del Marchesato, permettendo così alla madre di controllare e spadroneggiare su tutto il Monferrato. Per capire a fondo la presa di posizione armata del Capello è necessario fare qualche passo indietro. Bisogna rammentare, a questo proposito, che già dal 1521, era in corso la guerra tra Francesco I, re di Francia e Carlo V, re di Spagna, erede anche dei domini degli Asburgo, nonchè dell’ambita “Corona Imperiale”. Questi violenti scontri, nonostante brevi riappacificazioni, si protrassero per quasi mezzo secolo e furono anni che devastarono il Monferrato soprattutto quando nel 1536 Francesco I invase il Piemonte, rivendicandone il possesso, come figlio di una Principessa Sabauda. Finalmente la gigantesca lotta tra le Case di Francia e quelle d’Asburgo si conclusero nel 1559 con la pace di “Cateau- Cambresis”, assicurando l’egemonia spagnola in Italia e in tutta l’Europa. Naturalmente, tutti possedimenti del Monferrato, furono assegnati, come abbiamo detto, ai Gonzaga, che avevano appoggiato i vincitori e la duchessa Margherita, nell’ottobre del 1559 potè così recarsi personalmente a Casale Monferrato pe ricevere a nome del figlio minore Guglielmo X di Mantova, il giuramento di fedeltà dai suoi sudditi. Anche se le controverse vicende di Oliviero Capello cominciarono proprio in quel momento, la sua carriera di “Soldato-Giureconsulto” iniziavano già quattro anni prima della famosa pace di “Cateau-Cambresis”. Infatti in quell’anno Oliviero combatteva come capitano delle Milizie Imperiali contro le truppe francesi del Conte Brissac. Il fatto che il Capello partecipò addirittura nel 1554, anno precedente a quello dell’occupazione di Casale da parte dei Francesi, si può dedurre che partecipò di fatto non con i francesi, ma a fianco degli spagnoli , al cui appoggio i Gonzaga dovevano successivamente la signoria di Casale e del Monferrato. Infatti durante la guerra fu nominato Commissario Generale dello Stato del Monferrato ed ebbe il governatorato di Ponzone dal Marchese di Pescara, Ferdinando D’Avalos, subentrato al comando delle Truppe Imperiali, ed ebbe numerosi riconoscimenti ed una stima profonda che gli fu conservata e dimostrata più volte in seguito. Fu infatti Ferdinando D’Avalos che lo scelse per dirigere l’opera di fortificazione di Vignale, che venne duramente attaccata nel 1556 dal Brissac. In quel caso, insieme ad altri difensori della Piazza Monferrina, Oliviero Capello cadde prigioniero, ma l’episodio ebbe una tale risonanza negli ordini militari concessi dal Brissac al coraggioso comportamento di Vignale, al punto di essere non solo liberato, ma trattato con i più alti onori militari. Ritornata la pace nel 1559 e ristabiliti i Gonzaga al potere, questi concessero un’amnistia generale per tutti i sudditi che avevano preso le armi, senza distinguere sotto quale bandiera avessero militato. Per questa ragione la figura di Oliviero Capello fu molto discussa, in quanto anche se amante e strenuo difensore dello Stato Monferrino e della sua personale posizione e nonostante si recò a Roma e poi a Vienna per far valere le sue ragioni, probabilmente non comprese la leggerezza con cui organizzò e condusse una congiura, senza pensare non solo al rischio personale, ma ai numerosi casalesi che si vedevano privati di quella libertà e di quell’autonomia di cui avevano goduto largamente sotto i “Paleologi”. Molti dunque saranno ancora i fatti che condurranno alle difficili e combattute decisioni di Oliviero Capello, ma dei contrasti che questo appassionante personaggio dovrà subire ne parleremo ancora la prossima settimana.
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