La caduta del muro di Berlino, sul finire del secolo scorso, pareva aver aperto al mondo un futuro di pace e fratellanza chiudendo definitivamente il discorso della guerra fredda e della contrapposizione est-ovest che aveva caratterizzato il dopoguerra. Quelli della mia generazione hanno vissuto con lo spettro del famoso pulsante rosso schiacciando il quale, chi governava negli Stati Uniti o nell’allora Unione Sovietica, avrebbe potuto scatenare la terza e probabilmente definitiva, per il genere umano, guerra mondiale. Il resto del mondo, per l’opinione pubblica, non esisteva, o quasi. In quel tempo non si sentiva parlare, se non marginalmente, né della Cina, né dei paesi arabi, né delle contraddizioni dell’Africa o dei sussulti del sudamerica. Poi venne la “globalizzazione” e si mise in moto un processo di cambiamento, magari impercettibile nel piccolo, ma radicale e imponente a livello mondiale. La popolazione del globo ha superato i sette miliardi di individui e ciò che è clamorosamente mancato è stata la capacità della politica mondiale di adeguarsi al nuovo corso che evidentemente non dipendeva più da quanto accadeva nei singoli Stati o tra stati contermini, ma da dinamiche nuove capaci di muoversi trasversalmente, ma soprattutto andando oltre i confini amministrativi. Inevitabilmente processi globali di questa portata hanno portato ad uno stravolgimento, riverberandosi anche sulla scala nazionale, regionale, locale, delle abituali categorie di pensiero con le quali si sono sempre affrontati i problemi della società in tutte le sue articolazioni. Negli ultimi tempi questo processo di cambiamento pare aver subito un’accelerazione e servirebbe una presa di coscienza collettiva in grado di far fare un salto di qualità alla politica attuale per renderla capace di affrontare le nuove sfide con un corretto bagaglio cognitivo e operativo. Gli eventi, piccoli e grandi, che ci danno il segnale della necessità di agire in tal senso sono ormai innumerevoli. Guardiamo ad esempio al tragico fenomeno delle migrazioni di massa causate da fenomeni che una politica corale e condivisa potrebbe tranquillamente risolvere creando le condizioni di pace e di stabilità economica sufficienti a far rimanere nelle loro terre intere popolazioni. E invece si assiste ad un balletto di dichiarazioni fini a loro stesse, di provvedimenti inefficaci e costosi, ad una deriva populista e razzista di certa classe politica incapace di analizzare il problema con un minimo di umanità e con una chiave di lettura adeguata ai tempi. Sul lato istituzionale, in Italia, da tempo ci si è accorti che la democrazia rappresentativa che ci hanno regalato i padri costituenti fa acqua da tutte le parti, ma chi ci ha governato negli ultimi decenni non è stato in gradi di dare vita a riforme capaci di colmare questo vuoto fermandosi gli slogan pre-elettorali. Ciò che viene da pensare oggi, nell’epoca della frenesia da prestazione, e alla luce delle riforme, o presunte tali, che il nuovo premier ci sta propinando a getto continuo, è se non fosse stato meglio che gli slogan rimanessero inattuati. Nulla di peggio può esistere, dal punto di vista istituzionale, di provvedimenti elaborati in emergenza e senza una adeguata analisi del problema, ma soprattutto delle cause che il problema hanno generato. Prendiamo l’eliminazione delle Province. Una boutade che da una parte le province non le ha eliminate e dall’altra, con le città metropolitane che in teoria avrebbero dovuto sostituirle, ha creato un caos amministrativo da delirio collettivo. Non parliamo poi delle riforma elettorale che sta generando dei terremoti interni addirittura nei partiti che l’hanno concepita, come se fosse stata proposta da qualche politico alieno proveniente da Marte. Mentre veniva concepita al Nazareno o nelle solite fumose stanze la nuova genialata quelli a cui oggi viene il mal di pancia dov’erano? Scendendo di livello e per chiudere con le cose di casa assistiamo ormai da anni ad una litania, da parte di chi ci governa, di impotenza nei confronti dell’Europa, del patto di stabilità, dello Stato che taglia i fondi e via discorrendo. Da qualunque livello si guardi la situazione c’è sempre un livello superiore che causa le difficoltà di quello sottostante. Come abbiamo scritto nel titolo viviamo in un caos totale. Cosa fare per uscirne? Proponiamo alcuni semplici sostantivi intorno ai quali costruire un percorso nuovo: verità, trasparenza, onestà, solidarietà, umanità, bene comune, coscienza collettiva, pace, passione politica. Qualcuno lo abbiamo certamente dimenticato, si accettano consigli.
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