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"CRETINETTI RE DEI POLIZIOTTI"

"CRETINETTI RE DEI POLIZIOTTI"
Parlare di Giovanni Pastrone alias Piero Fosco alias Leblanche  non è un compito semplice. Non lo è perché ci troviamo di fronte ad uomo che ha creato un Cinema sotto tutti i punti di vista: quello stilistico e i meccanismi artificiali per realizzarlo. Egli stesso, per vincere la concorrenza delle altre case cinematografiche, produce anonimamente centinaia di brevi film, comici e drammatici, riuscendo in tal modo ad alimentare il proprio circuito di sale, non concedendo alcuna tregua ai suoi rivali. Tutto ciò sembrerebbe già più che sufficiente per delinearne un ritratto preciso, invece dobbiamo ricrederci, ampliando le prospettive della sua genialità e della sua forza quando gli viene diagnosticato un tumore al fegato con la previsione di un decesso imminente. La sua fertile e versatile mente inizia allora a progettare una macchina elettrica a scopi medico-terapeutici con cui si cura, e che cerca invano, visti i risultati, di far produrre su scala industriale. Egli morirà infatti trentadue anni dopo, in seguito ad un improvviso riacutizzarsi della malattia, ma nel frattempo guarirà la sorella del Cardinale Siri di Genova, che andrà personalmente a Torino per ringraziarlo. Scoprirlo poi con un diploma di ragioniere, ma anche con quello di violinista al Conservatorio di Asti; impiegato nel 1903 come secondo violino al Teatro regio di Torino e due anni più tardi, come semplice contabile nella  Casa Cinematografica di Cortometraggi “Rossi & C.” del dottore in chimica Carlo Rossi e dell’industriale tedesco Guglielmo Remmert, sempre di Torino, può risultare destabilizzante. Ma anche in questo caso le abilità di Pastrone sconcertano. Alla Rossi & C. parla correttamente francese, inglese e tedesco, pertanto ne diviene direttore amministrativo nel 1907, e quando Rossi e Remmert decidono di dedicarsi ad altre attività, ne diviene comproprietario l’anno successivo, con l’ingegner Carlo Sciamengo, genero di Remmert, rifondandola come “Itala Film”.   Qui arriva il successo strepitoso delle comiche di “Cretinetti”, interpretato dall’attore francese André Deed,  diventato famoso in tutta Europa. Strappato da Pastrone stesso alla Pathé Frères e portato alla Itala Film di Torino, consente in questo modo al regista e alla società di essere conosciuti in tutto il mondo. Le comiche girate a Torino, a partire da “Cretinetti re dei poliziotti” del 1909, dirette non solo da Pastrone, uscirono a cadenze regolari con l’obbligo di una comica alla settimana fino al 1919. A Torino André Deed trascorre un periodo felice, incontra e sposa nel 1907 l'attrice torinese Valentina Frascaroli, frizzante caratterista che dimostra un innato talento e una formidabile padronanza della scena. Perfettamente poliglotta, parla correttamente sei lingue; divenendo  contemporaneamente molto celebre anche in Francia grazie ad una serie di corti comici dove interpretava "Gribouilette”, uno dei personaggi chiave del cinema comico francese. Come in molti altri casi, la successiva introduzione del cinema sonoro, segnò il declino della carriera artistica di Deed, ma la Frascaroli, che intanto era ritornata sulle scene teatrali, gli rimarrà accanto fino alla sua morte, nel 1940 e parteciperà anche a parecchi film della Itala, come Erminia in “Tigre Reale” ed in altre 11 pellicole della Itala Film. Pastrone invece, importò in Italia un fondamentale genere cinematografico che in Francia si andava diffondendo con grande rapidità: il feuilleton poliziesco. Nacque così nel 1913 “Tigris” di Vincenzo C. Dénizot. Un film in cui l'attore Edoardo Davesnes, mascherato, interpretava con bravura i tre diversi protagonisti: un malvivente, un rispettabile signore e il commissario di polizia e che si concludeva con un singolare svelamento dei tre personaggi. In questa operazione, centrale fu il ruolo dell'operatore Segundo de Chomón, così in Tigris apparvero avanguardistiche riprese in soggettiva ed effetti di frammentazione della visione che, insieme alle frequenti riprese notturne e alle accelerazioni narrative del finale, resero il film una sorta di prototipo del genere noir, antecedente al Fantômas di Louis Feuillade. L’anno precedente invece, con il film “Il Padre”, scopriamo, per la prima volta nella storia del cinema, una inquadratura oggettiva: l’attore Zacconi, guarda per alcuni istanti, direttamente nell’obiettivo della macchina da presa, istituendo così un rapporto diretto tra lo schermo e lo spettatore. Un’altra caratteristica è costituita dalla ripresa al microscopio di alcuni bacilli e l’inserimento del pezzo scientifico documentario nella narrazione del film, quando il personaggio interpretato da Zacconi, ha la rivelazione del gravissimo male di cui è affetto. Tutto ciò ci fa pensare ad un riferimento al personale stato di salute di Pastrone e alle ricerche che si volle dedicare. Intanto, il clima di forte censura dovuta alla Prima Guerra Mondiale in corso, pose seri limiti alla fantasia di Pastrone, che come soggettista, fu costretto a cambiare in positivo l'oscuro finale del film di genere fantastico “La guerra e il sogno di Momi”, del 1917, di De Chomón. Un  thriller onirico, in cui compare anche la bravissima Frascaroli, basato sul sogno spaventoso di un bambino che legge le lettere del padre dal fronte e in cui compaiono attori e pupazzi animati.   Così Pastrone stava costruendo il Cinema moderno con brevetti e innovazioni adoperati ancora oggi. Si affinò nei procedimenti tecnici inventando e brevettando il "fixitè", un meccanismo per impedire lo slittamento della pellicola; ricorse per la prima volta in assoluto alla "carrellata", la macchina da presa piazzata su una piattaforma mobile, da lui brevettata il 5 agosto 1912, due anni prima di girare il celeberrimo “Cabiria”. La macchina da presa non è più fissa al terreno, ma libera di muoversi tra gli attori. Fino ad allora invece, la macchina da presa creava una scena fissa in cui gli attori entravano in campo, recitavano e ne uscivano con un effetto simile al teatro. Il carrello permise invece di passare dal campo lungo ai primi piani senza "stacco" di ripresa. Già nel 1908 aveva incluso le prime sperimentazioni di trucchi visivi nel film “Da Dove Escono” e in “Tigre reale”, girato nel 1916, tratto da un romanzo di Verga, spicca un uso del flashback sorprendentemente moderno. Egli sentì il cinema in modo completo sotto tutti gli aspetti. Concepì l’uso della luce artificiale e degli schermi riflettenti per ottenere determinati effetti. Mise a punto i procedimenti di viraggio, sovraimpressione e dissolvenza. Escogitò i trucchi più audaci scoprendo l’uso dei modellini, ma soprattutto, e qui si riconoscono le componenti del suo genio: seppe dare a tutte queste invenzioni non solo il rispettivo e vero significato estetico da semplici trovate tecniche o da puri accorgimenti spettacolari: perché Pastrone non era solo un tecnico, era soprattutto un vero artista.   Poi arrivò “Cabiria”, un successo senza precedenti ottenuto presso il pubblico mondiale, perfino in Giappone e in Australia, che lo rese un antesignano del moderno cinema industriale. Un film che rimase in prima visione per circa un anno a New York e per sei mesi a Parigi. Nel corso della lavorazione le spese raggiunsero livelli così elevati per quei tempi, che ad un certo punto il direttore della Banca interessata, spaventato, si informò con cautela, sullo stato mentale di Pastrone. Tutte le mattine, una schiera di atleti: “comparse” previamente stipendiata dalla Itala Film, passavano di corsa per i viali di Torino, per mantenersi agili e resistenti, venendo definiti dai torinesi: “La strana squadra di Pastrone”. Comunque con l'interpretazione di Bartolomeo Pagano, un ex scaricatore di porto di Genova, scoperto di nuovo da Pastrone, fu un trionfo; tanto che negli anni a venire, il personaggio di Maciste interpretato da Pagano, fu protagonista in molti altri film, creando un vero e proprio genere “mitologico” destinato a durare per oltre mezzo secolo.   Giovanni Pastrone era nato ad Asti il 13 settembre 1882 ed i suoi genitori possedevano una drogheria. Passava le vacanze estive a Montechiaro d’Asti, ospite dello zio, medico chirurgo Attilio Mensio. Conosco bene questo paese, pertanto decido di visitarlo e fare qualche domanda agli abitanti. L’accoglienza è tiepida, poche persone sanno solo distrattamente della sua esistenza e la tomba di Pastrone non è nel cimitero di Montechiaro D’Asti. Eppure sapevo che il suo desiderio era quello di essere sepolto accanto ai suoi parenti. Poi incontro quell’irresistibile personaggio che si chiama Marco Rebaudengo, ex primo cittadino del paese e profondo conoscitore della sua storia. E’ contento di vedermi e subito mi mette al corrente che in una chiesa di Montechiaro, ha scoperto, era stato battezzato il nonno di Papa Francesco, mostrandomi tanto di documento. Gli faccio sapere che non è per quello che sono venuto a trovarlo, ma per Pastrone.”Un genio” afferma lui senza remore e poi mi accompagna, senza che glielo chieda, dalla cugina che risiede ormai nella casa di riposo del paese: alcuni anni fa ne era direttrice, ora ne è ospite. Dopo una breve introduzione di Marco, mi presento a Nella Mensio con un certa titubanza. “Può avvicinarsi un po’ di più?” mi dice “Sa, ho quasi cento anni e non ci sento più tanto bene”. Gli chiedo che tipo di carattere potesse avere suo cugino, perché in realtà, penso tra me, non sono ancora riuscito a farmi un’idea precisa di questo straordinario personaggio. Addirittura Maia Adriana Prolo, direttrice del Museo Nazionale del Cinema, dovette usare parecchi stratagemmi per ottenere due interviste da parte dello studioso Georges Sadoul nel 1951 e di Mario Verdone, l’anno successivo. In queste interviste, Pastrone si limitò a parlare genericamente di se stesso, parlandone in terza persona. Nella Mensio è nata nel 1915 e suo cugino è morto nel 1959, quindi deve averlo conosciuto bene. Mi fa un ritratto di un uomo buono, paziente e disponibile, ma con un carattere vulcanico ed esplosivo quando la sua brillante mente concepiva un nuovo  progetto. Gli era soprattutto rimasto impresso il suo sguardo intenso e magnetico e i suoi occhi che definisce “zingareschi”. Lo confermano un fascio di documenti che mi consegna, contenta, il giorno successivo per esaminarli. Ci sono lettere, fotografie e un piccolo diario che ha sempre conservato con cura. “Posso tenerlo per qualche giorno?” Nella mi risponde di si, solo che non mi dimentichi di restituirglielo. Gli chiedo infine come mai non c’è la tomba di suo cugino a Montechiaro. “Lui voleva essere sepolto qui perché amava Montechiaro, ma la famiglia non era molto d’accordo, così è rimasto a Torino”.
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