Ormai pullulano in ogni angolo della città. C’è chi vende abiti, accessori moda ed articoli per la casa. Chi si è buttato nel mercato della telefonia e dei tablet. Chi addirittura fa il parrucchiere per signora o ha aperto un laboratorio sartoriale. Altri sono diventati il punto di ritrovo di ragazzi che hanno voglia di qualcosa di stuzzicante o di lavoratori costretti a pranzi “take away”. “Prendo un kebab e arrivo”. I più “arditi” ultimamente hanno sfidato nuove frontiere e hanno aperto negozi di alimentari e macellerie. Non sono italiani. O, al più, hanno la doppia cittadinanza. Sono per lo più cinesi, marocchini, egiziani, turchi, rumeni e sono i nuovi commercianti della nostra città. Non è facile censirli. “Non sappiamo dire con certezza quanti sono”, dicono dall’ufficio comunicazione di Palazzo Santa Chiara. Idem sostengono dall’Ascom. C’è che ce ne sono parecchi. E mentre alcuni chiudono - a proposito, al centro commerciale Coop è rimasta solo un’attività gestita da cittadini cinesi - altri riaprono. In un continuo alternarsi di fortune ed insuccessi. Abbiamo provato ad incontrarli e, a ciascuno di loro, abbiamo posto alcune semplici domande. Da quanto tempo siete in Italia? Perché avete scelto Chivasso? La crisi si sente? Per quanto tempo avete intenzione di rimanervi? Alcuni hanno voglia di parlare, di raccontarci le loro storie. Altri proprio non ci vogliono vedere. Ecco le loro risposte... I nuovi commercianti: Mustafà venuto dal Marocco, Giulia dalla Cina e Mohammed dall’Egitto “Ho aperto il negozio solo nove mesi fa qui a Chivasso ma vivo in Italia da 25 anni - racconta Mustafà di “Gali Mohamed”, punto vendita di articoli e prodotti elettronici di via Po -. Provengo da un paese a 84 chilometri da Casablanca e prima di arrivare a Chivasso ho fatto il muratore in Valle d’Aosta, a Roma, a Palermo, a Treviso. Ho un negozio a Torino e avevo tanti clienti di Chivasso. Sono stati loro a dirmi: ma perché non ti avvicini un po’ a noi? Così, eccomi qua...”. “La crisi ovviamente si sente, ma non posso permettermi di chiudere - spiega -. Tra l’affitto da pagare, le varie spese e le tasse che ci ammazzano si fa fatica ad andare avanti. Ma non possiamo fermarci...”. Passando da un negozio di abbigliamento e da uno di acconciature entrambi di cinesi in via Po, dove non c’è molta voglia di parlare con i giornalisti, arriviamo in via Torino. Qui, a descrivere la sua esperienza chivassese, è la titolare di “Giulia Moda”. Si chiama Zhou Xianjin, anche se per tutti i suoi clienti è semplicemente Giulia. Viene da un paesino vicino a Shangai. Vive a Torino e nella città del Nocciolino si reca ogni giorno per vendere i suoi vestiti. “Ho aperto l’attività quattro anni fa - dice in un italiano abbastanza fluente -. Prima di venire qui avevo un negozio a Torino, in via Cibraio, ma poi l’ho chiuso. Ho scelto Chivasso perché mi piace molto questa città e perché la gente è sempre brava e gentile con me”. Anche Giulia ci riferisce di sentire il peso della crisi economica: “L’ho sempre sentita, ma quest’anno molto di più rispetto al passato”. Svoltando in via Roma, nel negozio di abbigliamento all’angolo con via San Marco c’è poca voglia di parlare. “Non abbiamo niente da dire”. Un po’ più in là, invece, il titolare di una sartoria ci spiega perché è finito qui, dalla lontana Cina. “Ho 33 anni e da dieci vivo in Italia - racconta in un italiano stentato -. Ho scelto di venire a Chivasso per raggiungere i miei zii che vivono a Castellamonte. Prima lavoravo a Milano...”. Il laboratorio chivassese è aperto da due anni. “Chivasso mi piace, ma in questo momento le tasse sono tante e il lavoro è sempre di meno...”, aggiunge parlando del suo rapporto col commercio cittadino. Un giro a vuoto alla “kebabberia” turca “Bella Instabul”, e un altro nel negozio di alimentari rumeno di via Momo. “Non parliamo, non abbiamo niente da dire”. Per poi finire al di là del cavalcavia, in via Ivrea. “Siamo qui dal 2008 e all’inizio lavoravamo moltissimo. Ora, sarà per la concorrenza, sarà per la crisi, ma di lavoro ce n’è pochissimo”, si sfogano i titolari egiziani del take away “Kappa Emme” di via Ivrea. “Vorremmo vendere l’attività perché non ce la facciamo più...”. A pochi metri da loro, in via Caluso, c’è un altro “take away”, un “melting pot” multietnico. La concorrenza divora... Ed è così che in città, per smarcarsi dagli altri, ha investito in una macelleria un ristoratore di Torino, Mohammed venuto dall’Egitto. “El Rahma” ha aperto solo da un paio di mesi in via Cavour e, nonostante i tempi che corrono, si è già fatto una discreta ed affezionata clientela. “Rispetto alle altre macellerie, i nostri prezzi sono più bassi ma la qualità della carne che offriamo è ottima - racconta il giovane dipendente dietro il bancone, Mohammed anche lui e anche lui originario dell’Egitto, fuggito da un Paese dove, dice, la democrazia non si sa più cosa sia -. Là non c’è più valore per la vita: puoi uscire di casa e non tornare più. Ecco perché sono andato via, nonostante abbia in Egitto la mia famiglia e i miei affetti. In Italia si sta bene, anche se c’è la crisi, ma il posto dove sono stato meglio è il Belgio. Qui c’è troppa concorrenza, là si vive e si lavora meglio...”. “Che volete che vi dica? Che sto per chiudere...”. Nel negozio di abbigliamento “Like Moda” di stradale Torino, gestito da commercianti di nazionalità cinese, non è che non ci sia voglia di parlare. E’ che non c’è più niente da dire. Ha vinto la crisi, purtroppo.
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