Da quando Piero Fassino chiese al telefono a Giovanni Consorte nel 2005: “Allora? Siamo padroni della Banca?” le mie già confuse idee sulla moralità dell'attuale politica si ingarbugliarono ancora di più. Al di là delle modalità con cui quella registrazione venne pubblicata e dei risvolti processuali che ne seguirono quel passaggio ha segnato, almeno per un cittadino qualunque che crede nella “P”olitica come il sottoscritto, il punto di non ritorno di una lunga onda di disfacimento valoriale di quell'area politica che una volta si definiva “la sinistra”. A preparare il campo ci avevano già pensato D'Alema e la sua corte di sostenitori dell'apertura al libero mercato e al mondo della finanza, ma se qualcosa di buono ha portato il berlusconismo è che si è svelata la vera essenza di certi personaggi politici i cui partiti di riferimento, per storia e per statuto, si sarebbero dovuti preoccupare di ben altri affari, a partire dal tentativo di ricucire un tessuto sociale lacerato su tutti i fronti proprio da quelle visioni liberiste che invece di rincorrere ad ogni costo si sarebbero dovute arginare. Il Dio denaro a un certo punto prende il sopravvento sulle idee e sugli ideali, quindi sulla politica, diventando l'elemento decisore irrinunciabile anche per forze che, almeno a parole, si dichiaravano di sinistra, progressiste, vicine agli ultimi. Tutti abbiamo assistito alla scomparsa dei partiti storici in seguito al terremoto giudiziario del 1992, ma evidentemente la lezione non è servita ed oggi ci ritroviamo a dover fare i conti con le stesse dinamiche e in taluni casi con gli stessi personaggi che già si erano messi in evidenza all'epoca di Tangentopoli. Sono cambiati qualche nome di partito e qualche sigla, mentre più di un politico di lungo corso cambiava casacca, anche più volte, ma le dinamiche del malaffare e della cattiva gestione della Pubblica Amministrazione invece di scomparire si sono affinate creandosi gli anticorpi per contrastare un processo di radicale purificazione e rinascita della Politica vera: quella dell'ascolto, dell'uguaglianza e della giustizia, della sobrietà e dell'onestà, della partecipazione e della trasparenza. Pare un incubo nel quale si rivedono personaggi che invece di scontare le loro pene hanno potuto ricostruirsi un profilo criminale di tutto punto nella più totale indifferenza. Per chi come me ha vissuto nella propria maturità tutto questo periodo è triste e tragico allo stesso tempo dover riscontrare che la nostra generazione (parlo di quelli nati negli anni '60) non è stata all'altezza, non è stata capace di invertire la rotta costruendo un'Italia nuova capace di offrire alle nuove generazioni del terzo millennio un futuro di speranza. Dico questo perchè è ormai insopportabile lo stillicidio quotidiano di brutte notizie che ci dobbiamo sorbire senza riscontrare più nemmeno l'indignazione, ormai trasformatasi in rassegnazione, dell'opinione pubblica. Da un lato il disastro umanitario e ambientale globale e da un punto di vista più nazionale, locale il malaffare e la corruzione diffuse. Talmente diffuse che ormai non ci si indigna nemmeno più di fronte all'ennesimo arresto per Expo 2015 o per quanto emerso dalle indagini sulla mafia capitolina capace di speculare addirittura sul traffico di migranti e dei centri di accoglienza. Eppure non possiamo arrenderci di fronte a questo sfacelo sociale e non dobbiamo nemmeno cadere nell'errore di pensare che tanto a noi non ci tocca perchè di politica inefficiente e cinica che gioca sulla pelle delle persone siamo circondati anche nel nostro piccolo. Sembra passato un secolo, tanto che nessuno più ne parla, ma il 27 febbraio scorso è stato messo in liquidazione il CIC con un buco previsto di circa 1,2 milioni di euro e con 136 posti di lavoro a rischio. Si tratta di una società pubblica della quale il Comune di Ivrea era il socio di maggioranza e cosa hanno fatto i responsabili politici e non di questa vicenda? Assolutamente nulla, si tira avanti come se niente fosse, nemmeno una richiesta di scuse, tanto poi la gente dimentica. Passa qualche tempo ed è di qualche giorno fa l'ennesima mazzata sul territorio dell'eporediese. Scomparsi 39 milioni di euro dalle casse della storica cooperativa AEG che non è un'azienda decotta o senza liquidità, ma una realtà con qualche milione di utile l'anno che se opportunamente reinvestiti avrebbero potuto creare nuova occupazione, nuova ricerca, nuove professionalità. Puntando magari sulla gara per l'acquisizione delle reti (e quindi tecnologia locale, occupazione, investimenti, solidità gestionale) che ora sarà perduta in partenza per puntare su cosa? Alla roulette russa delle grandi forniture tentando di entrare in un gioco troppo grande. Risiko o Monopoli? L'impressione è che certa politica, e tutto il mondo che le gira intorno, si sia fatta prendere la mano ed ora non sa come poter affrontare vicende troppo grandi che se in epoca di vacche grasse qualcuno dai piani alti riusciva a sistemare oggi non ci riesce più. Il problema è che non si tratta di un gioco, ma di un problema tremendamente serio che vuol dire negare ai nostri giovani e al nostro territorio il futuro. Si parla di milioni come se fossero noccioline quando un ragazzo, indipendentemente dal suo titolo di studio, se vuole lavorare per poche centinaia di euro al mese deve accettare di vedere calpestati diritti fino a qualche anno fa ritenuti intoccabili oppure farsi pagare dai genitori un biglietto aereo low-cost ed espatriare in qualche paese un po' più civile. Bisogna fermare immediatamente la corsa di un treno impazzito che prima o poi si schianterà se nessuno riuscirà a tirare il freno di emergenza, ma per fare questo serve che chi ricopre ruoli di responsabilità se ne assuma l'onere. Non è più tempo per mettere la testa sotto la sabbia aspettando che la tempesta sia passata.
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