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IL TESORO DI DESANA

IL TESORO DI DESANA
C’è ancora oggi chi continua ottusamente a sostenere che i “Tesori Nascosti” siano banali invenzioni o ridicole leggende da attribuirsi alla solita “fantasia popolare”; termine a cui ricorrono spesso, e con una certa soddisfazione,  gli archeologi più esperti.  Così dovette sentirsi il povero Schliemann quando veniva continuamente deriso sulla sua convinzione dell’esistenza della città di Troia; convinzione basata non su un comprovato documento storico, ma su un libro-favoletta che si chiamava “Iliade”. In Piemonte invece c’è un’altra storia che si chiama “Il Tesoro di Desana”, e vede questa volta protagonisti due colti e astuti personaggi: Vittorio Viale e Piero Accorsi. Un giorno dell’anno 1938, Vittorio Viale si presenta al museo d’arte antica di Torino, con 22 gioielli d’oro e altrettanti d’argento, bracciali, fibule, collane, anelli e molti altri oggetti databili, secondo lui, intorno al IV-V secolo dopo Cristo. Interrogato sulla provenienza della merce egli sfodera una spiegazione piena di ambiguità. Secondo lui “Sarebbe stato trovato, secondo vaghe ed incerte notizie, nei pressi di Desana, ma senza che si potesse giungere a conoscere né il tempo, né la precisa località, né le precise circostanze del ritrovamento” e in ultimo, udite! udite!: “Se gli oggetti acquistati costituissero lo intero corredo o ne fossero solo una parte”.  Gli si chiede a questo punto come abbia fatto, proprio lui, ad entrarne in possesso. Così il buon Vittorio tira in ballo l’amico Piero Accorsi, affermando che lo avrebbe acquistato “Con l’aiuto di Piero Accorsi nel commercio antiquario per il museo d’arte antica di Torino”. Certo, perché in genere, quando si passeggia per le bancarelle dei mercati antiquari, tra cornici tarlate e orologi a pendolo, è facile imbattersi in quarantasette oggettini in oro, argento dorato e niellato, granati, paste vitree, smeraldi, ametiste e zaffiri che andrebbero a comporre un corredo di rarissima età barbarica compresa tre il III e il VI secolo dopo Cristo. Chi di voi oggi si troverà a visitare il museo d’arte antica a Palazzo Madama, potrà osservare queste meraviglie che saranno sempre solo una parte di un corredo che non si è mai riusciti a capire se si sia trattato  di un vero e proprio tesoro occultato da una famiglia aristocratica di origine germanica o di oggetti provenienti da diversi corredi funebri . La domanda è: “Da dove provenivano in realtà questi oggetti? E perché il Viale parla di una località del Vercellese chiamata Desana?”.   Nel “Tesoro di Desana”, oltre ad orecchini, bracciali, collane e anelli, si contano due fibule a staffa, accessori dell’abbigliamento femminile, utilizzate per fissare i mantelli sopra la veste , una fibbia di cintura e un prezioso servizio da tavola di diciotto cucchiai in argento parzialmente dorato e niellato, con figure di pesci e delfini sui manici e in alcuni casi iscrizioni e cristogrammi incisi sull’argento. In questi pezzi troviamo tanto elementi distintivi dell’oreficeria ostrogota, che motivi di origine classica, come il tralcio di vite animato da uccelli che beccano i grappoli e figure umane, segno della progressiva influenza culturale e artistica del mondo romano sui Goti insediatisi nell’ Italia settentrionale. Una prima ipotesi, fu che a Desana questi ori fossero stati lasciati dagli Visigoti, che qui si insediarono, dopo aver razziato anche Vercelli, e che qui nascosero il loro tesoro, o parte di esso, quando si trovarono a dover fuggire incalzati dal “Magister militum”, Flavio Stilicone, anch’esso di origine barbara, ma fedele all’Impero romano, che li sconfisse nella pasqua del 402, nella famosa battaglia di “Pollentia” (tra Pollenzo e il colle di Santa Vittoria d’Alba), quando con un esercito ridotto, Stilicone usò lo stratagemma delle nebbie che le langhe offrivano di prima mattina, convincendo Alarico, che la gran distesa regolare di pali di sostegno delle viti, fosse in realtà una gigantesca legione romana, schierata, lancia in resta. Stilicone vinse, recuperando il bottino dei Goti e facendo prigionieri le mogli e i figli degli invasori, ma non fu né questo il bottino  del “Tesoro di Desana” né fu mai lui ad occultare alcun tesoro. Albino, divenuto vescovo di Vercelli nel 415, vide nel 406 le orde degli Ostrogoti di Radagaiso e nel 410 i Visigoti di Alarico che devastano Vercelli, distruggendo la cattedrale fatta costruire da Teodosio sul sito della basilica paleocristiana di sant'Eusebio. Alarico, artefice della vittoria presso il fiume Frigido, sul Carso, nel 394, in un continuo alternarsi di scontri e accordi con Stilicone, si fronteggiano più volte nel settore orientale dell’impero, fino alla crisi del 401, quando, sotto la guida di Alarico, i Goti si presentano in Italia, riparando poi in Pannonia dopo ripetuti scontri con Stilicone stesso. Nel 405 un altro capo goto, Radagaiso, penetra in Italia sospinto da una nuova ondata di Unni e viene bloccato a Fiesole, nell’anno successivo, sempre da Stilicone. Caduto l’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., le popolazioni barbariche occuparono il territorio italiano. Teodorico, Re degli Ostrogoti, sconfitti Odoacre nel 493 d.C. e i Burgundi, con la presa di Ravenna, conquistarono l’Italia. Le popolazioni occupate furono continuamente provate dalle devastazioni delle guerre e Vercelli rimase quasi abbandonata e spopolata. Teodorico però, cercò di instaurare una pacifica convivenza, con la riduzione dei tributi e la liberazione di molti schiavi. Sebbene fosse ariano, si prodigò per migliorare i rapporti tra la chiesa di Roma e quella di Costantinopoli. Nel territorio vercellese perciò, transitarono più volte i Visigoti, condotti da Alarico e gli Unni che furono poi sconfitti dal condottiero romano Ezio sulla Marna nel 451 d.C. Poi fu la volta degli Eruli e degli Ostrogoti, fino a quando l'imperatore Giustiniano riuscì, nel 553 d. C. a riconquistare il regno d'Italia. Il pericolo rappresentato dai goti, si manifestò in forma grave sotto l’imperatore Decio e ancor più sotto il suo successore, Treboniano Gallo (251-253): i goti si suddivisero in due tribù principali: i Tervingi ,poi detti visigoti, stanziati allora nella regione dei Carpazi ad ovest del Dnestr e i Greutungi ,poi detti ostrogoti, che vivevano nella Russia meridionale, a est del Dnestr fino al Don. La successiva storia dei goti diventerà quella di due distinti popoli. Decio, era stato l’imperatore romano che aveva dato il suo nome alle proprietà sorte intorno alla “Mansio Deciana”, posta a 5 miglia da Vercelli. Alle porte della attuale Desana esisteva un mausoleo romano, in seguito “ricoperto” da una chiesetta oggi scomparsa. Qui i contadini iniziarono a trovare i primi reperti del corredo, la voce si sparse ed arrivò fino all’attenzione di Vittorio Viale e Piero Accorsi.   In effetti la questione non è poi tanto incredibile. Vi sono testimonianze ostrogote, a dimostrazione della loro presenza in Piemonte,  in quattro differenti siti: due in posizione strategica per il controllo del territorio, a Collegno sulla strada fra Augusta Taurinorum e la Valle di Susa, e a Castelvecchio di Peveragno nel Cuneese, su un’altura fortificata; e due in aree rurali, a Frascaro presso Alessandria, e a Mombello Monferrato presso Casale, in corrispondenza o nei pressi di ville rustiche romane. Inoltre, la recente scoperta di una grande villa tardoromana proprio nella località Settime di Desana, a sud di Vercelli, ha gettato una nuova luce sul “Tesoro di Desana”, comunque oggetto in passato di vari dibattiti, sulle preziose oreficerie di tipo danubiano del V-VI secolo, associate a gioiellerie e argenterie da mensa di tipo romano-mediterraneo. Rare, ma comunque significative sono anche le tracce di onomastica gota in epigrafi piemontesi. A Tortona e a Ivrea si conservano le iscrizioni funerarie di Sendefara e Droctarius, morti nel 541 e nel 545, rispettivamente all’età di trentacinque e vent’anni.  Oltre alla chiara origine germanico-orientale dei nomi, l’età da loro raggiunta in vita suggerisce che i due personaggi appartenessero alla seconda generazione degli immigrati giunti in Italia con Teodorico. Altre due perdute iscrizioni funerarie, vengono ritrovate a Suno (Novara) presso la chiesa di San Genesio, e a Voghera (Pavia), nell’antica ”Forum Iulii Iriensium”, fra le rovine della chiesa di Sant’Ilario di Staffora, menzionando rispettivamente la ”honesta femina [Al]igerna e il presbyter Berevulfus”, qualificato come” vir venerabilis”. Benché la loro perdita permetta unicamente una generica datazione entro la metà del VI secolo, la prima attestava la presenza di una donna gota di classe sociale elevata in un’area rurale gravitante su un centro urbano come Novara, che aveva conservato la sua importanza anche nel periodo tardoantico, mentre la seconda confermava l’entità della presenza ostrogota  attraverso un membro del clero in un antico centro romano posto sulla via Postumia non lontano dalla strategica “Dertona”, dove era vissuta anche Sendefara. Nel caso del ritrovamento di Desana abbiamo invece un’ importante testimonianza incisa su un anello nunziale d’oro (gr. 6,4) con iscrizioni su due linee: “Stefani (us), cioè Stefano, romano e Valatru (da), Valatru-da o di, germanica. I reperti risulterebbero  di epoca tardo-romana e ostrogota ai tempi del regno di Teodorico e sarebbero oggetti attribuibili alle due specifiche scuole che dovevano far parte delle due famiglie di origine degli sposi. Il “Tesoro di Desana” infatti, comprende cucchiai in argento e oreficerie di tradizione romana: croce, bracciale a traforo, fibula “a cipolla”, orecchino con pendente e anche una coppia di fibule a staffa decorate a cloisonné, orecchini a poliedro e una fibbia con placca rettangolare, tipiche del costume femminile germano-orientale. Si potrebbe ipotizzare a questo punto che il “Tesoro di Desana” fosse composto dal ritrovamento di due distinte tombe di un romano e di una donna germanica. Infatti, osservando il panorama demografico dell'Italia in età ostrogota, delle strutture economiche e dei traffici a distanza, possiamo dedurne che ci fu non una serie di processi catastrofici, ma di lente trasformazioni, in cui gli elementi di più acuta crisi si spostano piuttosto verso la fine, che non verso l'inizio del regno goto. Come dicevamo, non molto tempo fa, a Settime di Desana, non lontano dall’antica strada romana che collegava Vercellae ad Hasta, è stata portata alla luce parte di una grande villa tardoromana, estesa su una superficie di 5000 mq e articolata in più nuclei separati. La villa pare fosse il centro di un vasto latifondo, con insediamenti satellite costituiti da ville rustiche, di cui alcuni resti sono stati individuati nelle campagne circostanti. L’esame delle fondamenta degli edifici e della cappella, così come l’analisi dei materiali raccolti, indicano che la villa fu abitata ininterrottamente fra l’inizio del IV secolo e la metà circa del VI, mentre la cappella fu aggiunta solo all’inizio del V secolo. Ecco quindi individuato il “Mausoleo di Decio” e la chiesetta scomparsa.   In questo sito fu scoperto, prima del 1938, il “Tesoro di Desana”. La cronologia dell’occultamento può essere fissata in base alla data dei manufatti più recenti, ossia le fibule a cloisonné, una delle due fibbie di cintura femminili e un cucchiaio con testa di grifone, nessuno dei quali posteriore al decennio 510-520. La prima fase della guerra goto-bizantina appare quindi il momento più probabile, anche considerando che l’area dell’odierno Piemonte fu devastata più volte e in rapida successione, fra il 538 e il 539, da Bizantini, Goti e Franchi. Quanto ai possessori della villa e del tesoro, la contemporanea presenza di oggetti di tipo romano-mediterraneo e danubiano, nonché dell’ anello nuziale (inizio del VI secolo) con incisi il nome latino Stefanius (o Stefanus) e quello goto Valatrud, suggerisce che si trattasse dei membri di una famiglia “mista”, formata da un possidente terriero dell’aristocrazia cisalpina e da una dama immigrata di altissimo rango, appartenente all’élite ostrogota legata a Teodorico. Un’ulteriore conferma viene dalla stessa onomastica mista latino-ostrogota dei nomi presenti su vari oggetti del tesoro: fra essi spicca “Gundila”, molto diffuso nell’Italia ostrogota e ripetuto in forma di monogramma su nove cucchiai del servizio da mensa (inizio del VI secolo).Questa proposta interpretativa sembra ulteriormente supportata dall’ampia cronologia dei pezzi di tipo romano-mediterraneo (dal III al VI secolo), evidentemente ereditati dal nucleo autoctono della famiglia, ma anche da quella più circoscritta dei pezzi danubiani (V-VI secolo), tutti oggetti del costume femminile, probabilmente appartenenti al corredo di Valatrud.    
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