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18 Febbraio 2015 - 16:40
Municipio ivrea
“Ho fatto un sogno
un sogno all'incontrario
ho fatto un sogno
un sogno poco serio
Ho sognato che tutto quello che andava male andava bene
e tutto quello che andava bene andava male...
andava quasi tutto bene!”
Così cantava Paolo Rossi in una canzone nella quale metteva in evidenza uno dei paradossi del nostro tempo. Un metodo, studiato a tavolino, capace di stravolgere la verità e la realtà facendo credere alle persone di vivere nel miglior mondo possibile. Quindi, alla luce di ciò: perchè cambiare? Ultimamente ad Ivrea, come in Italia e nel mondo più in generale, si stanno susseguendo eventi, situazioni che danno il segnale di come le nostre vite spesso siano più simili a un videogame, e quindi gestite da altri, che ad una esperienza terrena vissuta da persone in carne ed ossa e, magari, perchè no, con un'anima. Tralasciamo in questa sede le bufale e gli inganni “globali”, lo abbiamo già fatto altre volte anche sulle righe di questo giornale, e concentriamoci sul livello locale, quello che ci riguarda più da vicino, seppur condizionato dalle dinamiche sociali, politiche, economiche di area vasta. Da circa un anno e mezzo esiste ad Ivrea in Consiglio Comunale una minoranza, a volte supportata da parti di maggioranza, che in più occasioni ha dimostrato di saper adempiere, con impegno ed onestà intellettuale, il compito di “indirizzo e di controllo” assegnatogli dalla legge. Per fare questo serve documentarsi, ricercare, scavare nei meandri di quel labirinto impenetrabile che è diventata la Pubblica Amministrazione. Non si tratta di un lavoro facile perché, come un organismo che si sente attaccato da un virus, l'ingessato sistema di potere cittadino tenta di attivare gli anticorpi necessari a fermare quello che reputa un pericolo non accorgendosi che invece, molto più semplicemente, si tratta di un ricambio d'aria, di un cambio di marcia necessario per portare anche la nostra città agli onori di quel mondo che intorno a noi continua a correre guardando avanti invece di crogiolarsi su un modo di vivere e di pensare la società obsoleto e retrivo. In quel mondo ormai lontano, qualcuno se ne deve fare una ragione, sono nate forme di delega politica, ormai inattuali, in grado di sottrarre dal controllo pubblico risorse pubbliche. Ne sono state inventate di diverso tipo: società e/o consorzi pubblici (di nome, ma non di fatto), partecipate, fondazioni, municipalizzate, servizi outsourcing, ecc. Come spesso accade in Italia iniziative nate sotto la miglior buona fede si trasformano nel loro contrario e quindi questi organismi sono ora finalmente caduti sotto la lente del legislatore e degli enti deputati al controllo dei conti pubblici. Ultimamente il Consiglio Comunale eporediese si è occupato, con grande senso di responsabilità e con assoluta oggettività, di alcune di queste situazioni “border-line” ed in particolare della crisi del CIC e della situazione in essere nella Fondazione Guelpa. A entrambe questi enti sono state poste delle domande, spesso rimaste senza risposta, e sono stati richiesti: un maggior confronto e dialogo con chi è stato eletto dai cittadini a rappresentare l’interesse della collettività oltre una maggiore trasparenza gestionale e amministrativa. Troppo? In tutta risposta dal CIC sono arrivate minacce di adire le vie legali, non si sa bene per quale reato a meno che non siano diventati perseguibili per legge il tentativo di salvare centinaia di posti di lavoro e la ricerca delle colpe, delle omissioni, delle incapacità e delle inefficienze di chi ha portato un’azienda sana sull’orlo del fallimento. Dal lato Guelpa, un tentativo di dialogo portato avanti dalla commissione consiliare per la cultura, al quale abbiamo partecipato attivamente, è stato con prontezza sgretolato e svilito dal recente e sedicente ”Appello alla saggezza eporediese” con il quale, con la scusa di voler difendere il Presidente Jalla, che si sa difendere da solo e con il quale, come detto sopra, si è cercato di intraprendere un dibattito serio e franco sul futuro della Fondazione, sono stati lanciati messaggi finalizzati scientemente a intorbidire le acque. Operazione che si riassume in una frase, presa testuale, nella quale si dice che gli obiettivi di chi vorrebbe capire qualcosa in più su questo ente “... non sono a sostengo del bene comune”. Quindi, secondo gli auto-proclamatisi “saggi”, richiedere: trasparenza, una gestione dell’ente analoga a quella pubblica, chiarezza nei rapporti con il Consiglio Comunale (quindi con la cittadinanza), bandi di gara pubblici per gli affidamenti di incarichi e consulenze, rispetto delle volontà testamentarie della benemerita donatrice, non sono richieste “a sostegno del bene comune”. Diceva George Orwell che: “Nei tempi dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario”. In questo senso noi, in questo Consiglio Comunale, ci sentiamo effettivamente dei rivoluzionari ritenendoci però anche, nel contempo, delle persone responsabili il cui unico fine è il bene della città e dei suoi abitanti. Come ci insegna la storia ogni rivoluzione scatena una “reazione” da parte di quei poteri che si tenta di cambiare e questo è fisiologico e comprensibile. Ci viene in aiuto a questo punto il senso delle parole della canzone citata in apertura. Si tratta di una chiave di lettura molto utile per capire come quel sistema di potere che ha portato l’Italia sull’orlo del baratro fatichi a farsi da parte. Riguardo gli eventi citati sopra proviamo ad analizzare la reazione di chi di un certo sistema di potere ha ampiamente goduto in passato. Vediamo che ogni azione critica, seppur oggettiva e verificabile, tendente al superamento dello status quo, viene dipinta come il suo contrario: il bene diventa il male, l’onestà intellettuale diventa ambizione e presunzione, la ricerca di verità diventa sospetto, il perseguimento della legalità diventa un atto da denunciare alla magistratura, la richiesta di trasparenza e di pubblicità degli atti diventa dirigismo e interesse di parte, la responsabilità istituzionale diventa irresponsabilità e immaturità, la chiarezza e la comunicazione diventano elementi che creano disorientamento ai media per un corretta informazione. Ci troviamo di fonte a due mondi. Uno reale ed uno "all'incontrario". Un mondo, spesso evocato anche da papa Bergoglio, che chiede più equità sociale, uguaglianza, diritti, legalità, giustizia, lavoro, redistribuzione delle risorse, verità, lotta alla povertà ed uno che lotta per mantenere inalterati i propri privilegi ergendosi, in maniera autoreferenziale, a moralizzatore universale. Ai lettori scegliere quale di questi due sia il mondo "reale" e per quale dei due dovremo lottare per garantire un futuro alle nuove generazioni.Edicola digitale
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