A chi non è capitato, nella propria infanzia, di ritrovarsi tra le mani un libro che iniziava con la celebre frase “C’era una volta….” ? Bastava quell’espressione per far capire che ci si sarebbe riferiti a condizioni, fatti, circostanze che risalivano a tempi appartenuti ad un passato lontano, ad un mondo molto diverso da quello di appartenenza. Consegnava immediatamente la sensazione dello scorrere implacabile del tempo e del succedersi di azioni e reazioni che, secondo una incognita e superiore pianificazione prestabilita, comprendente anche qualche variabile impazzita, scolpiva in modo inscalfibile le ere, il corso della storia. Oggi l’accelerazione che l’uomo ha dato ai suoi eventi, al loro modo di attuarsi, di trasmettersi, di svanire nel nulla appena sbocciati, ha reso quella frase difficilmente impiegabile seppur di fronte a mutamenti quotidiani a dir poco sconvolgenti, ha perso il suo naturale riferimento temporale. E’ passato troppo poco tempo per poter utilizzare il “C’era una volta…” per ricordare ad esempio quando, nelle contrade dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea (AMI), Giovanni e Pierfranco un padre sulla cinquantina d’anni e un figlio appena uscito dalla scuola superiore, si recavano negli uffici dirigenziali di una nota azienda locale conosciuta in tutto il mondo, per concordare, in un clima di trattativa quasi familiare, il tanto ambito pensionamento del primo e l’assunzione a tempo indeterminato del secondo. Oggi per Cristina e Marco, giovani fidanzati, cittadini e residenti nell’AMI la “storia” è diversa. Lei in possesso di una specializzazione medico-legale insolita ha trovato un contratto di lavoro in Australia, come insegnante della stessa materia in cui è specializzata. Lui, ingegnere civile, ha trovato lavoro in un grande cantiere in Russia. Negli orari consentiti dal fuso orario diverso si possono sentire ed anche vedere con voipe e skype. E’ cambiato il mondo senza neppure potere dire “ C’era una volta”. E non è ancora stato toccato il fondo. E’ notizia di ieri che l’industria Canavesana ha chiuso il 2014 con un ulteriore calo di 1000 posti di lavoro. Anche per la libera professione i tempi sono tragici: gli ingegneri liberi professionisti che erano 43.000 nel 2008 sono passati a poco più di 33.000 nel 2014, con una flessione superiore al 20%. Il Comitato per “AMIunaCittà”, di cui faccio parte, si è attivato perché vorrebbe evitare di imbattersi presto da qualche parte con una sorta di epigrafe annunciante “C’era una volta l’Anfiteatro Morenico di Ivrea….”. Ma per essere certi di scongiurare questo tragico evento è necessario far comprendere al maggior numero dei suoi abitanti che è necessario agire nel più breve tempo possibile per costruire le contromisure che ne possano determinare l’arresto della decadenza e il necessario rilancio. In caso contrario il nostro destino sarà molto simile a quello delle aree della Terra che oggi risultano ancora fertili ma che a causa del progressivo abbandono ed impoverimento sono da considerarsi già attualmente in via di desertificazione. La differenza la potrà fare solo chi ci è nato, chi ci risiede, chi vi si è trasferito, risvegliando quell’orgoglio che il benessere e la convinzione che nulla poteva cambiare drasticamente in peggio, hanno assopito. Per riuscire in questo intento occorrono dei progetti a vari livelli: - diffusione della proposta e dei suoi contenuti; - identificazione del percorso istituzionale per realizzarla all’interno della legislazione italiana, dello Statuto della Città metropolitana di Torino, dei conseguenti Piani strategici delle Aree Omogenee che sono state già identificate e di cui l’AMI fa parte, a pieno titolo; - composizione dell’archivio del patrimonio storico, culturale, agricolo, sportivo, economico (industriale, artigianale, commerciale) dell’AMI per l’identificazione di possibili nuove identità e una miglior razionalizzazioni di quelle in atto. - Identificazione del o dei nuovi settori produttivi di investimento da ubicare negli innumerevoli spazi già esistenti e/o sfruttando le aree con una consistente potenzialità edilizia che ancora sono disponibili ( basti pensare all’area industriale di Scarmagno, ma anche ad aree disponibili a Montalenghe, Borgofranco). Non ci dovremo stupire se dagli studi che saremo capaci di affrontare e sviluppare dovessero scaturire delle risposte che potrebbero sembrarci inconcepibili ad un primo approccio. Abbandonati riferimenti e miti di un recente passato come Mediapolis di Albiano e Motorlandia di San Giusto, mai realizzate e superate dall’involuzione dei tempi, il ritorno alla creazione di risorsa economica (cioè soldi per merce/idee prodotta/e e venduta/e) può essere collegato allo sfruttamento di nuovi mercati o alla implementazione di quelli esistenti, visti nell’ottica della globalizzazione. Ma questi lungimiranti programmi hanno subito bisogno di una veloce decisione. Quella che deve vedere noi cittadini che ci muoviamo nell’AMI condividere il passaggio verso una sorta di “globalizzazione a km. zero”, che fonda in un’unica struttura, con una gestione unitaria, un territorio omogeneo che vuole essere all’avanguardia nel giocarsi le sue carte per gli eventi futuri. Un territorio che potrebbe scoprire di tornare ad essere noto in tutto il mondo, non più per le macchine da scrivere, come è già stato capace di fare, bensì magari per una specialità gastronomica, per qualcosa che facciamo bene da sempre o che non abbiamo fatto, ma che l’AMI potrà offrire al mondo intero, nelle quantità che la conquista di nuovi mercati ci consentiranno.
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