C'è questa scena in cui Carlo Messina è assediato con il fratello Gianpaolo nello stabilimento della Yesmoke. Fuori, decine fra carabinieri e finanzieri che li cercano. E dice: “Mi devono arrestare. Prima di chiudere qua mi devono arrestare”. Ed è questo, probabilmente, il frame che ti rimane più impresso del film di Michele Fornasero, SmoKings. La scena colpisce perchè un mese fa, cioè tre anni dopo aver detto quella frase, Carlo Messina, assieme al fratello, è stato davvero arrestato. Per contrabbando. La scena ti colpisce perchè la fabbrica di sigarette Yesmoke di Settimo Torinese, oggi commissariata, rischia davvero di essere spazzata via dalle multinazionali del tabacco contro cui guerreggia da anni. Il film, proiettato in anteprima la scorsa settimana ai Fratelli Marx, è bello. Punto e stop. Qualcuno che di cinema ne capisce più di noi vi potrà parlare della regia, delle musiche, del ritmo, della fotografia. Noi, che facciamo i cronisti locali, diciamo che è bello perchè Fornasero spara un faro in faccia a una storia che è semplicemente troppo “storia” per non essere raccontata. E lo fa tenendoti incollato alla poltrona. SmoKings, prodotto da Simone Catania per Indyca, dovrebbe uscire ai primi di febbraio in una quindicina di sale in tutta Italia. A Torino sarà in cartellone ai Fratelli Marx di corso Belgio. Il film, pur tracciando uno spaccato sull'industria del tabacco e sui relativi interessi occulti, è prima di tutto il ritratto dei fratelli Messina. Di cui si capisce una cosa sola: che sono due pazzi. Due podisti tabagisti che si alzano la mattina con un unico chiodo fisso. Rompere i coglioni a gente infinitamente più grande di loro. Due attaccabrighe coi milioni in banca che per il loro futuro sognano non di comprarsi un atollo nel Pacifico, ma di trovare, dopo Big Tobacco, nuovi colossi da abbattere e nuove lobby da scardinare. “Perchè il profitto viene dopo, il profitto è una conseguenza”. In pratica, due artisti della provocazione. In una delle poche scene preparate del film il personale Yesmoke si mette in posa in giacca, cravatta e occhiali scuri, sigaretta in bocca, come nelle Iene di Tarantino. È uno dei pochi punti in cui Fornasero strizza l'occhio allo spettatore. Per il resto, il regista settimese schiva la mina più pericolosa: scadere nella “retorica di Robin Hood”, come la chiama lui, nell'apologia del ricco che ruba al povero. È chiaro che i Messina tutto sono meno che il ritratto dell'imprenditore illuminato. “Avrei tanto voluto fossero come Olivetti” racconta in una scena, sconsolata, la loro mamma. Quando mai. Gianpaolo Messina è uno capace di farcire di benzene e altra immondizia i prototipi di sigarette da inviare al monopolio, solo per il gusto di smascherare i controlli farlocchi di quell'ente così sensibile alle esigenze di Big Tobacco. E per convincere il fratello, restio, che quel pacco va spedito, gli dice: “Dai facciamolo. Perchè? Perchè è bello”. Alla fine del film, emerge che i Messina saranno pure brutti e sporchi e cattivi, ma alla fine i cattivi, quelli veri, non si vedono mai. Sarà un caso, ma nè l'AAMS (l'ex Monopolio di Stato) né Philip Morris hanno acconsentito a farsi intervistare. A SmoKings manca la fine. Quella la racconteranno i cronisti che seguiranno la vicenda Yesmoke. Per ora ha vinto Philip Morris. Ma c'è una frase di Carlo Messina, seminata da qualche parte in mezzo al film: “Noi siamo convinti di batterli”. Chissà se la ripeterebbe oggi.
lorenzobernardi@giornalelavoce.it
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