Dopo sedici anni, montagne di sigarette vendute e milioni di euro di spese legali, siamo giunti alla fine della parabola Yesmoke? L'arresto dei fratelli Messina e il commissariamento dello stabilimento di Settimo segnano l'epilogo del mito dei due fratelli che dalla periferia torinese volevano sfidare i colossi di “Big Tobacco”? Se così fosse, se davvero Yesmoke è morta oggi, speriamo che i fratelli Messina siano giudicati colpevoli di tutte le accuse che gli vengono mosse. Se invece così non fosse, se si scoprisse, al terzo grado di giudizio, che i Messina sono innocenti, la cosa ci farebbe enormemente incazzare. Perchè in questa vicenda di precedenti “spiacevoli” e “strani” ce ne sono stati fin troppi. Perchè in questa vicenda il ruolo dello Stato Italiano non è sempre stato cristallino. Perchè nessuno, neanche le Fiamme Gialle, ci può togliere dalla testa quel fastidioso tarlo che suggerisce che dietro alla guerra alla Yesmoke si siano mossi interessi che ben poco hanno a che fare con il concetto di giustizia, su entrambe le sponde dell'oceano Atlantico. Ripercorriamo la vicenda. Nel 1998 i fratelli Messina aprono un sito che distribuisce sigarette in tutto il mondo. Vendono Malboro, Lucky Strike, Winston, a prezzi ultra concorrenziali, spedendo le “stecche” direttamente a casa del consumatore. Le loro sigarette costano meno perchè di fatto bypassano il pagamento delle tasse delegando il controllo della merce spedita alle dogane. E le dogane di molti paesi lasciano correre. I Messina fanno soldi, tanti soldi: arrivano a 100milioni di dollari, poi il Golia del tabacco, Philip Morris, si accorge di quel piccolo Davide rompicoglioni. E inizia la guerra. Accusati di contrabbando, i Messina sono condannati a pagare 550 milioni di dollari. Ma se ne fregano. La guerra comincia anche per loro, ed è totale. Non hanno paura. Si spingono al limite. Del mercato, della concorrenza e del codice penale. Iniziano a produrre le loro sigarette e si trasferiscono a Settimo Torinese. La dichiarazione di guerra la scrivono sulla home page del loro sito: “La Yesmoke va oltre la concorrenza a Big Tobacco, perché è una nave da guerra pronta a destinare tutte le sue risorse al danneggiamento finanziario del cartello dei produttori di sigarette, a beneficio della collettività. Il fine è estirpare il bubbone Big Tobacco dalla società”. Al netto della retorica, i Messina sono uomini d'affari spregiudicati. Per raggiungere i loro obiettivi, puntano al calo del prezzo delle sigarette, in modo da ridurre drasticamente l'utile dei colossi e introdurre la logica del libero mercato anche nel territorio di caccia delle lobby, che tenendo alti i prezzi e si spartiscono la “torta” con il fisco. Nella battaglia si inserisce lo Stato italiano, che sforna una dopo l'altra leggi che sembrano fatte apposta a tagliare le gambe a Yesmoke. Tutte bocciate: alcune dall'Europa, che tutela la libera concorrenza, altre dal Tar del Lazio. La conseguenza: i prezzi delle sigarette si abbassano. Gli introiti di Big Tobacco, pure. Poi, il 6 dicembre 2011 cinquanta uomini della Fiamme Gialle e dei Carabinieri si presentano allo stabilimento per bloccare la produzione, perchè la Yesmoke non ha versato una cauzione di garanzia bancaria al AAMS (l'ex Monopolio di Stato). I Messina levano gli scudi. Intervengono Regione, Provincia e comune e i sigilli non vengono apposti. Fino ad oggi, fino all'accusa di contrabbando, fino all’arresto dei Messina e al commissariamento dell’azienda. E adesso? Adesso c'è solo da sperare che i Messina siano giudicati davvero colpevoli. Ma di contrabbando. Non di voler abbattere “Big Tobacco”. Che non sarebbe un reato, ma solo concorrenza. p.s. Se è vera la metà di ciò che la Yesmoke lamenta sul suo sito, se è vero che Yesmoke è stato oggetto delle attenzioni delle lobby del tabacco per anni, se è vero che le multinazionali non aspettavano altro che un passo falso dei Messina per denunciarli, spedirli in galera e buttare la chiave, se è vero tutto questo, quanto sarebbero stati sprovveduti i Messina a destinare il 90% delle loro sigarette al contrabbando?
lorenzobernardi@giornalelavoce.it
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