Dopo cinque anni di udienze e grande partecipazione delle comunità colpite dall’Eternit e dal suo cancro, mercoledì 19 novembre la Corte di Cassazione di Roma ha segnato la parola fine al maxi processo. “Grandi aspettative per una conclusione disarmante... Abbiamo prestato gratuitamente la nostra opera professionale perché credevamo fortemente in questa battaglia, e invece”, commentano, laconicamente, gli avvocati Patrizia Bugnano e Sabrina Balzola, rappresentanti di centinaia di cavagnolesi che si sono costituiti in giudizio per “danno da esposizione” all’amianto: ossia per aver respirato la polvere bianca per anni, con tutti i rischi che questo comporta La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado, dichiarando l’intervenuta prescrizione del reato di disastro doloso ex articolo 434 c.p., originariamente contestato all’imputato Stephan Schmidheiny. Cosa significa tecnicamente “annullamento senza rinvio” ce lo spiegano Bugnano e Balzola. Facciamo un passo indietro. La Corte d’Appello aveva condannato l’imputato alla pena di 18 anni di reclusione ritenendo ascrivibile allo stesso il disastro derivato dall’aver consapevolmente immesso nell’ambiente massicce dosi di amianto. Il reato, a detta della Corte, era ancora in essere, alla luce del continuo susseguirsi delle morti delle persone per mesotelioma pleurico e per l’evidente rischio di contrarre la stessa malattia: “Il particolare evento di disastro – scriveva la Corte di Appello di Torino - ha preso la forma di un fenomeno epidemico che si è esteso lungo l’asse cronologico con durata pluridecennale”. Secondo la Corte di Cassazione invece il reato contestato di disastro è prescritto: vale a dire è passato troppo tempo dai fatti. Il ribaltone era nell’aria sin dalla requisitoria del Procuratore Generale Francesco Mauro Iacoviello. Sostanzialmente, secondo lo stesso, contestare il reato di disastro ambientale è stato un errore giuridico, perché “questo tipo di accusa non è sostenuto dal diritto”. A differenza del reato per il crollo di una casa, dice Iacoviello, che è immediatamente contestabile, non è giuridicamente possibile prevedere la permanenza di un reato che causa morti a distanza di parecchi decenni. Il mesotelioma maligno, infatti, ha un’alta latenza. “Anche se oggi qui si viene a chiedere giustizia”, continua Iacoviello, “un giudice tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto”. Il Procuratore Generale non si astiene poi dall'esprimersi sulla colpevolezza del magnate svizzero: lo ritiene colpevole di tutte le condotte ascrittegli ma contestualmente invita la corte a non piegare il diritto alla giustizia, anche in ragione del precedente che la sentenza costituirà per i casi futuri. La sentenza travolge anche le statuizioni civili, vale a dire i risarcimenti, in quanto secondo la Cassazione il reato di disastro doloso era già prescritto prima che cominciasse il processo, dato che lo stabilimento di Casale fu chiuso nel lontano 1986. Si tratta quindi di una scelta interpretativa opposta a quella effettuata dai giudici di primo e secondo grado, che valutavano il decorrere della prescrizione dalle morti delle persone, che continuano ancora oggi. “Sono profondamente amareggiata per l'esito del processo - commenta l’avvocato Sabrina Balzola -. Concordo sul fatto che tra il diritto e la giustizia la Corte debba scegliere il diritto ma, al contempo è bene sottolineare come la Cassazione non era affatto obbligata ad avallare la richiesta dalla PG, poteva invece sposare l'interpretazione della Corte di Appello di Torino e del Tribunale che con due sentenze molto ben motivate avevano spiegato come il disastro provocato dall’amianto, rimasto a lungo latente e poi esploso con effetti che semineranno malati e morti per tanti decenni ancora, non può cristallizzarsi all'istante in cui le fibre del minerale-killer vengono immesse nell'ambiente in misura massiccia, momento coincidente con la chiusura delle fabbriche”. “Insomma io dico, come espresso da illustri giuristi quali Vladimiro Zagrebelsky, che c’era un’altra scelta ragionata e seriamente argomentabile, tra un'interpretazione che metteva d'accordo diritto e giustizia e un’altra che proclamava summus jus summa iniuria - conclude Balzola -. Probabilmente una sentenza di condanna non avrebbe restituito i morti ai loro cari e non avrebbe determinato neanche un ristoro economico perchè per artifizi giuridici sarebbe stato pressochè impossibile arrivare ad un risarcimento, ma un annullamento per prescrizione è una conclusione che più amara non poteva essere. Condannato l'amianto e assolto chi ce l'ha messo”. Anche l’avvocato Bugnano è amareggiata per questa sentenza ma soprattutto per il dibattito che ha suscitato: “E’ stato stucchevole aver sentito dopo il pronunciamento della Cassazione tutte le forze politiche che si interrogavano sul tema della prescrizione e sulla necessità di fare subito una legge sull’argomento - spiega -. E’ come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati, ma soprattutto sono state surreali le parole del Premier Renzi sulla volontà di mettere mano alla prescrizione se si pensa che Renzi è lo stesso che sta portando avanti accordi politici proprio con chi, Berlusconi, proprio con la cosiddetta Legge ex Cirielli del 2005 era intervenuto pesantemente sulla prescrizione dei reati introducendo meccanismi di calcolo che di fatto la riducono notevolmente”.
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