Non me l’aspettavo. Credo che, pur tra molti timori, giustificati, nessuno si aspettasse una tale soluzione del processo Eternit. Con una sentenza definitiva che non assolve l’imputato, ma dichiara prescritto il reato di disastro ambientale doloso permanente, annullando la precedente condanna. Dunque, la strage c’è stata e c’è ancora, le vittime sono accertate, la causa è ben chiara, ma siccome è passato troppo tempo, il reato è prescritto. Non riuscirò mai a capire. “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia….”. E certamente i famigliari delle vittime dell’amianto, alla lettura della sentenza di Cassazione sul processo Eternit, avranno pensato che la fiducia nella giustizia umana a volte è (troppo spesso) ben poco giustificata. La sentenza di prescrizione dei reati di cui era imputato lo svizzero Stephan Schmidheiny, e per cui era stato condannato in primo e secondo grado di giudizio, è una mazzata. Tanto più forte perché imprevista e inattesa. Ma come si poteva pensare che oltre 3000 deceduti per malattie amianto-correlate non potessero significare una tragedia che sta continuando, al ritmo di 50 decessi all’anno a Casale, 2-3 a Cavagnolo (stessa percentuale rispetto alla popolazione)? Come si può dire “prescritto” un reato che continua e continuerà, purtroppo, a provocare vittime, sofferenze, disperazione? Perché se la sentenza è inappellabile, lo è anche la diagnosi della malattia, quando compare dopo 30 anni o più dal contatto con le fibre cancerogene. E prima di tutto non viene l’essere umano, l’attenzione e la salvaguardia della vita? Prima di qualsiasi altra considerazione? La prima telefonata è stata di Giovanna Zanellato, referente AFEVA a Cavagnolo, pochi minuti dopo che nei sottotitoli dei telegiornali di mercoledì 19 era comparsa la scritta che il procuratore generale aveva chiesto la prescrizione al processo in Cassazione: “Ma cosa sta succedendo? Ma come è possibile? Ma possono annullare le condanne?” Come lei, migliaia di altre persone, almeno l’intera città di Casale, insieme a molti altri in tutta Italia, se lo stavano chiedendo, ce lo chiedevamo tutti: come è possibile? Quegli stessi che avevano rifiutato l’offerta del diavolo(18 milioni di euro) giudicandola quasi oltraggiosa. Contraria al senso ed al bisogno di giustizia. Diversamente da Cavagnolo, la cui giunta comunale nel 2011 aveva accettato i 2 milioni proposti. Ma anche qui è aleggiata la domanda: come possono succedere queste cose? Non c’è risposta precisa. Succedono perché le leggi consentono interpretazioni diverse, forse. E adesso? Cosa si può dire? Che la battaglia continua? Certo che sì, ma intanto…Domenica scorsa , a Cavagnolo, ad assistere allo spettacolo “Storia di Romana”, un monologo stupendamente recitato sulla vita di Romana Blasotti Pavesi, la “Romana”, c’erano poche persone. Forse il paese di Cavagnolo è stanco di sentire parlare di amianto, di malattie e di morti. Ma di fronte a questa sentenza anche Cavagnolo, l’intera comunità, ha il diritto ed il dovere di continuare a credere che la malattia possa essere vinta, che il paese possa essere bonificato, che i responsabili possano essere giudicati. Dopo la disperazione, viene la rabbia. E dopo la rabbia, viene la voglia di ricominciare. Su basi nuove, forti delle esperienze vecchie. E’ eterna la licenza di uccidere? E’ eterna la sofferenza dei famigliari delle vittime? Facciamo diventare eterna anche la richiesta di giustizia, di ricerca, di bonifica. Anziché smettere, chiediamo con più forza. Ci ascolteranno, prima o poi. Perché il problema amianto è di tutti, non solo dei famigliari delle vittime. Noi semplici cittadini facciamo fatica a capire questa giustizia. Meno male che c’è n’è almeno un’altra, di giustizia: quella divina, che non conosce prescrizioni. Ma intanto continuiamo a chiedere che ci sia anche questa, terra terra…
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