Il romanzo si apre con la carrozza di un imprenditore impantanata nel fango nell’anno 1823 e si chiude con l’automobile di un altro industriale, anch’essa impantanata nel fango, nell’anno 1907: il luogo è il medesimo e le problematiche ambientali pure, anche se nel frattempo era cambiato il mondo ed era mutato radicalmente il modo di vivere e di lavorare a Pont, uno dei luoghi in cui la vicenda è ambientata. Il romanzo di cui stiamo parlando è “La Sposa del Sud” di Claudio Danzero, uscito la scorsa estate e presentato sabato 18 ottobre a Pont dall’autore nell’ambito della rassegna “Incontri con l’Autore”, organizzata dall’Associazione Culturale “Tellanda” e dall’amministrazione comunale. I due industriali che egli immagina alle prese con le difficoltà di spostamento sono Jean-Dominique Duport, fondatore della Manifattura di Pont ed il barone Ettore Mazzonis di Pralafera, che la rilevò all’inizio del Novecento. Anche in quest’opera Danzero si conferma come un romanziere capace di creare intrecci avvincenti inseriti in un contesto temporale preciso. Dall’epoca dell’Inquisizione si è spostato stavolta nel Risorgimento (periodo che coincide a Pont con l’avvento della grande industria) ed ha ambientato la narrazione nelle due regioni italiane allora forse più distanti per mentalità, costumi, modi di vita: il Piemonte e la Sicilia. Distanti ma fino ad un certo punto: la proverbiale chiusura dei montanari canavesani, la loro diffidenza, la resistenza ai cambiamenti, non erano e non sono poi tanto diversi da quelli del Profondo Sud. Nel romanzo s’intrecciano le storie di tre donne siciliane: chi rimane nella sua terra è vittima di tradizioni coercitive, chi fugge al Nord nella speranza di trovare un mondo più evoluto si trova ad affrontare ostilità e diffidenza da parte dei nativi. La stessa ostilità viene del resto riservata all’industriale savoiardo ed ai suoi collaboratori. L’ha incontrata anche l’autore, un secolo e mezzo più tardi, quando lavorava per l’ENEL: “Da giovane ho avuto modo di stipulare contratti di servitù e, soprattutto nelle vallate, mi trovavo regolarmente di fronte ad interlocutori che pensavano: <Qui c’è sotto qualcosa!>. Altro tema centrale nella narrazione è quello del Relativismo Culturale: “Cercavo qualcosa che lo facesse capire e l’ho trovato nei proverbi. In un giorno di nebbia, uno dei rari giorni di nebbia che capitano a Pont, la ragazza siciliana esclama: <Dopo la nebbia viene la pioggia>: evidentemente nella sua terra era così. Le compagne di lavoro la guardano scuotendo la testa: <Che scema! Dopo la nebbia viene il sole!>. Bastano piccole cose per creare l’incomunicabilità”. Ed il pettegolezzo, che prospera in ogni ambito geografico? Osserva Danzero: “Il pettegolezzo ha questa dinamica: una volta espresso, la gente non cambia più idea nemmeno se viene smentita dalla realtà”. Qualche curiosità sulla scelta dei luoghi: quella di Pont è scontata, un po’ meno quella di Santa Lucia del Mella, località nell’entroterra di Milazzo: “Devo confessare che non ci sono mai stato. L’ho scelta per via di una cartolina, inviataci molti anni fa dagli inquilini che avevamo a Pont e che erano originari di laggiù: quella cartolina mi aveva colpito così tanto che ho deciso di inserire Santa Lucia nel romanzo”. Sciolto nel parlare in pubblico come nello scrivere, Danzero ha intrattenuto piacevolmente i numerosi presenti stimolandone la curiosità ed alternando i suoi interventi a quelli di Daniela Colombatto, presidente della “Tellanda”, che ha letto alcuni brani del romanzo.
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