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Plumcake Mulino Bianco scaduti in vendita a Grugliasco: l’Asl assolve e spiega perché “si può fare”

Dopo tre segnalazioni e tre acquisti dello stesso prodotto oltre il termine indicato, arriva la risposta ufficiale dell’Asl To3. Una nota tecnica che evita il merito, ignora la reiterazione e finisce per normalizzare l’anomalia

Plumcake Mulino Bianco scaduti in vendita a Grugliasco: l’Asl assolve e spiega perché “si può fare”

Plumcake Mulino Bianco scaduti in vendita a Grugliasco: l’Asl assolve e spiega perché “si può fare”

A questo punto la storia dei plumcake scaduti al Carrefour di Grugliasco non è più soltanto una vicenda da corsia di supermercato. È diventata una questione ufficiale, con tanto di risposta formale dell’Asl To3. Ed è proprio questa risposta, più ancora dei prodotti lasciati sugli scaffali, a sollevare interrogativi pesanti.

Dopo aver trovato per tre volte consecutive, tra il 28 e il 30 dicembre, lo stesso prodotto Mulino Bianco con dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il 23 dicembre” ancora in vendita, nonostante le segnalazioni al personale del punto vendita, il cittadino ha deciso di rivolgersi all’autorità sanitaria. Lo ha fatto con prove alla mano: fotografie, confezioni, scontrini. Non una lamentela generica, ma una segnalazione circostanziata su un comportamento reiterato.

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Nei giorni successivi è arrivata la risposta dell’Asl To3. Una risposta ufficiale, protocollata, firmata. E proprio per questo ancora più problematica.

Perché l’Asl, invece di entrare nel merito di quanto accaduto, sceglie subito una strada precisa: spostare l’attenzione. Il testo chiarisce che non si tratterebbe di una “data di scadenza”, bensì di un termine minimo di conservazione (TMC). Una distinzione tecnicamente corretta, certo, ma che non risponde alla domanda fondamentale: perché un prodotto oltre la data indicata dal produttore è rimasto sugli scaffali per giorni, dopo ripetute segnalazioni?

Nella risposta si cita il Regolamento UE 1169/2011, si spiega che il TMC garantisce le proprietà qualitative ottimali e che il superamento di tale termine non rende automaticamente l’alimento pericoloso. Tutto vero. Ma qui nessuno ha mai parlato di veleno, intossicazioni o emergenze sanitarie. Il punto non è se il plumcake fosse ancora commestibile. Il punto è se fosse legittimo continuare a venderlo e, soprattutto, se fosse corretto ignorare una segnalazione documentata.

Il passaggio più delicato arriva quando l’Asl afferma che “non esistono, secondo le norme in vigore, divieti specifici per la vendita di prodotti che abbiano superato il TMC”. Una frase che, letta così, sembra chiudere la questione. In realtà la apre. Perché la normativa non dice affatto che “si può vendere tutto”. Dice che la vendita oltre il TMC è possibile solo a precise condizioni: prodotto integro, correttamente conservato, chiaramente presentato al consumatore, senza pratiche ingannevoli, e con piena responsabilità dell’operatore del settore alimentare.

Responsabilità che, secondo il Regolamento CE 178/2002 e il Codice del Consumo, non è facoltativa. È un obbligo. E qui quella responsabilità non emerge da nessuna parte. Anzi, viene smentita dai fatti. Se un cliente segnala un prodotto oltre il TMC e lo ritrova identico il giorno dopo, e poi ancora quello successivo, significa che nessun controllo è stato effettuato, oppure che qualcuno ha deciso di non intervenire. In entrambi i casi, non siamo più nel campo dell’errore. Siamo nel campo della gestione.

Ed è qui che la risposta dell’Asl To3 diventa davvero fragile. Perché non una riga viene dedicata alla reiterazione dell’episodio. Nessuna valutazione sul fatto che la segnalazione sia stata ignorata. Nessun richiamo al punto vendita. Nessuna presa di posizione sul comportamento successivo alla prima evidenza. Come se il tempo non contasse. Come se tre giorni valessero quanto uno. Come se la ripetizione non aggravasse nulla.

Nel frattempo, sugli scaffali del Carrefour di Grugliasco campeggia l’iniziativa “Sfida Zero Sprechi”. Un progetto condivisibile, sulla carta. Ma che in questa vicenda sembra essersi trasformato in una regola non scritta: finché qualcuno compra, si può fare finta di niente. Una lettura creativa che però ignora un dettaglio fondamentale: la lotta allo spreco non può diventare una deroga permanente alle regole, né tantomeno un alibi per la disattenzione.

Il risultato finale è paradossale. Un cittadino segnala. Torna. Ricontrolla. Documenta. Si rivolge all’Asl. E riceve in risposta una spiegazione teorica che non entra mai nel merito dei fatti. Nessuna contestazione, nessuna verifica esplicitata, nessuna indicazione su cosa sia stato fatto dopo la segnalazione.

E allora la domanda, a questo punto, non riguarda più il plumcake. Riguarda il senso stesso dei controlli. A cosa serve segnalare, se una risposta ufficiale si limita a spiegare le definizioni senza affrontare la realtà? A cosa serve controllare le date, se chi lo fa viene liquidato con una nota che sembra più preoccupata di rassicurare che di verificare?

Vendere un prodotto oltre il TMC può essere consentito. Ignorare una segnalazione no. Lasciare lo stesso prodotto sugli scaffali per giorni non è una svista. E rispondere a una denuncia documentata senza mai entrare nel merito non è tutela della salute pubblica.

È una scelta.
E questa volta non è sugli scaffali: è nero su bianco, firmata e protocollata.

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