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28 Dicembre 2025 - 14:03
Torino oltre i luoghi comuni: la carezza ironica di Luciana Littizzetto a Stanotte a Torino
«Falsi, cortesi e bogia nen? Non è vero». Luciana Littizzetto sceglie parole nette e dirette per ribaltare i luoghi comuni più radicati sui piemontesi e su Torino, intervenendo durante “Stanotte a Torino”, la serata-evento di Rai condotta da Alberto Angela, premiata anche dagli ascolti. Un intervento che diventa quasi una dichiarazione identitaria, capace di raccontare il carattere torinese senza indulgenze né folklore.
«Torino è una città che si muove parecchio. Ci chiamano “Bogia nen” ma non è vero che non ci muoviamo, ci muoviamo, ma non è che facciamo troppo casino, non lo diciamo tanto», spiega la comica torinese, chiarendo uno dei fraintendimenti più diffusi. Non immobilismo, dunque, ma un modo diverso di stare al mondo, meno urlato e più misurato.
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Nel suo racconto emerge anche un’espressione che, secondo Littizzetto, racchiude molto dell’anima piemontese. «Siamo gente che “non si osa”. C’è un po’ questa espressione tipica piemontese, “no, non mi oso”, che vuol dire mi vergogno, ho paura di entrare nel perimetro di un altro, di dare fastidio, quindi sto sempre un passo indietro». Un atteggiamento che non è debolezza, ma rispetto, riserbo, attenzione all’altro.
Nel ricordare il passato recente della città, Luciana Littizzetto cita anche Sergio Chiamparino, ex sindaco di Torino e presidente della Regione Piemonte. «Il nostro ex-sindaco famoso, Sergio Chiamparino, aveva questo mantra, che era “Esageroma nen!”», ricorda, richiamando una frase diventata simbolo di un certo stile piemontese, lontano dagli eccessi e dalla spettacolarizzazione.
Parlando di identità e convivialità, il discorso non può che passare dalla bagna cauda, piatto simbolo della tradizione. «Scatenerò il putiferio perché ognuno la fa a suo modo. Ci sono quelli che dicono che ci vuole una testa d’aglio per ogni commensale… È un piatto composto di olio, aglio, acciuga, poi c’è chi mette la panna, chi mette il latte», racconta. «Poi danno delle torrette di terracotta che si chiamano “fujot”. Poi si prendono tutte le verdure, cotte oppure crude e si mettono dentro alla bagna calda che rimane bollente e la sua prerogativa è che ti si impregna non solo negli abiti, ma anche nella pelle, quindi la porti con te per giorni». Un racconto ironico, ma anche profondamente legato alla cultura piemontese.
Il cuore del suo intervento, però, è dedicato al carattere della città. «Torino la scopri piano, piano perché non è chiassosa, è mite. C’è dentro la temperanza come la chiamava Papa Francesco», spiega. «C’è dentro quel modo di fare rispettoso, contenuto, un po’ come il tuo», dice rivolgendosi ad Alberto Angela, «che è proprio tipicamente piemontese che in un mondo di “pazzi duri”, di gente che urla, secondo me è una bella cosa». Un modo di essere che può disorientare all’inizio, ma che poi rivela una profondità autentica.
«All’inizio probabilmente di primo impatto è un po’ disturbante, ti fa dire “io non ho confidenza”. Ma poi quando hai confidenza con un piemontese è autentica, non è vero che siamo falsi e cortesi», sottolinea, respingendo un altro stereotipo spesso attribuito ai torinesi.
Nel finale arriva anche una riflessione che guarda al futuro. «Io penso che dobbiamo imparare dai napoletani che dicono “tengo questo, tengo famiglia, tengo il lavoro, tengo quest’altro”», osserva. «Non dobbiamo imparare a tenere perché quando riusciamo a fare delle cose pazzesche poi ce le portano via. Invece dobbiamo tenere quello che abbiamo, coltivare quello che abbiamo e continuare a crescere». Un invito esplicito a valorizzare ciò che esiste già, senza complessi di inferiorità.
“Francesco ascolta queste belle parole (notate subito da Angelo Forgione) di Luciana Littizzetto su Napoli e i napoletani” pic.twitter.com/TFhgv5PoaQ
— Francesco Borrelli (@NotizieFrance) December 26, 2025
Luciana Littizzetto conclude invitando i telespettatori di “Stanotte a Torino” a vivere la città, a trascorrervi dei weekend e a scoprirne le meraviglie, a partire dal Museo Egizio, simbolo di una Torino che non urla, ma lascia il segno.
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