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Dopo Askatasuna, Salvini, al lavoro per sgomberare centri sociali a Roma, Milano

Di fronte alla definizione di alcuni spazi autogestiti come centri culturali, Salvini ha rivendicato l’azione del governo come intervento di legalità contro la violenza

Askatasuna nella bufera

Askatasuna nella bufera: nuove misure cautelari, esplode lo scontro politico (foto di repertorio)

Torino è tornata al centro dell’attenzione nazionale nei giorni scorsi dopo lo sgombero del centro sociale Askatasuna, una delle realtà autogestite più longeve d’Italia, occupata dal 1996 e simbolo di oltre trent’anni di cultura antagonista e politica dal basso. L’operazione di polizia, avviata all’alba di giovedì 18 dicembre con perquisizioni e culminata con il sequestro e la chiusura dell’edificio di corso Regina Margherita 47, ha innescato una sequenza di proteste, scontri e una durissima battaglia politica. 

L’intervento delle forze dell’ordine — Digos, polizia, carabinieri e Guardia di Finanza — è stato legato alle indagini sugli assalti alle Ogr, alla sede di Leonardo e alla redazione de La Stampa durante le manifestazioni pro-Palestina di ottobre. All’interno dell’immobile, formalmente non agibile, sono stati trovati alcuni occupanti e l’edificio è stato sigillato con ordine del ministero dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha definito l’azione “un segnale chiaro dallo Stato: non ci deve essere spazio per la violenza nel nostro Paese”. 

La risposta degli attivisti non si è fatta attendere. Sabato 20 dicembre, circa cinquemila persone si sono radunate in un corteo di protesta contro lo sgombero, che ha attraversato il centro di Torino tra cori, slogan e tensioni crescenti con le forze dell’ordine. La mobilitazione ha coinvolto non solo torinesi, ma anche attivisti provenienti da tutta Italia, accomunati dal rifiuto della chiusura di Askatasuna e dal sostegno a quelli che considerano spazi di socialità alternativa e lotta politica. 

Il corteo, partito da Palazzo Nuovo e diretto verso la chiesa della Gran Madre, ha visto momenti di guerriglia urbana, con gruppi incappucciati che hanno tentato di rompere i cordoni delle forze dell’ordine lanciando bottiglie, oggetti e fuochi d’artificio. La risposta delle forze dell’ordine ha incluso l’uso di idranti e lacrimogeni. Nel corso degli scontri sono stati segnalati feriti tra le forze dell’ordine e barricate improvvisate con cassonetti dati alle fiamme. 

Gli slogan degli attivisti — “Askatasuna vuol dire libertà, nessuno ci fermerà” e “la nostra storia non è finita con uno sgombero” — hanno ribadito la determinazione del movimento a non arretrare. Gli organizzatori hanno annunciato future mobilitazioni, tra cui un’assemblea cittadina e un corteo nazionale previsto per 31 gennaio.

Nel mezzo della tensione, la disputa è esplosa anche sul piano politico. In una recente intervista televisiva a Zona Bianca su Rete 4, il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini ha espresso una posizione netta e dura sul tema: “Stiamo lavorando per sgomberare i centri sociali a Torino, Milano, Roma, Livorno, al nord e al sud, perché sono ritrovi abusivi di delinquenti. Qualcuno dice che fanno cultura. Ditemi voi se è far cultura”. Di fronte alla definizione di alcuni spazi autogestiti come centri culturali, Salvini ha rivendicato l’azione del governo come intervento di legalità contro la violenza.

Il vicepremier ha poi collegato gli scontri torinesi a una presunta storia criminale degli antagonisti coinvolti, affermando che “18 persone coinvolte negli scontri dopo lo sgombero del centro sociale torinese Askatasuna sono quelli che fanno casino sulla Tav e a marzo scorso sono stati condannati in primo grado per violenza privata, estorsione, rapina, sequestro di persona, resistenza a pubblico ufficiale, incendio”. “Cosa serve ancora a un giudice di Torino per mettere in galera queste persone? Non è possibile che loro passino il Natale a casa, mentre i tre bimbi della famiglia nel bosco lo passeranno lontano da casa. Non è un paese normale”, ha aggiunto, ponendo il caso come simbolo di una presunta inefficacia della giustizia rispetto alla protezione delle famiglie italiane.

Le affermazioni di Salvini hanno polarizzato ulteriormente il dibattito pubblico, con favorevoli pronti a sostenere la linea dura contro le occupazioni abusive e critici che vedono nella retorica politica una sovrasemplificazione di dinamiche sociali complesse.

Lo sgombero di Askatasuna non è un episodio isolato: segue quello di altri spazi autogestiti analoghi (come il Leoncavallo di Milano) ed è inserito in un contesto più ampio di conflitti sociali, alle volte legati alle proteste pro-Palestina che hanno attraversato l’Italia nel 2025. Manifestazioni, tensioni con la polizia e scontri in varie città del Paese — da Torino a Napoli, da Milano a Roma — hanno segnato un anno di mobilitazioni di piazza.

Per gli attivisti, Askatasuna rappresentava non solo un centro sociale, ma un punto di riferimento culturale e politico radicato nel quartiere Vanchiglia di Torino, con una storia di impegno nei diritti civili, nell’antimilitarismo e nell’autogestione, pur negli anni segnati anche da episodi di conflitto con le istituzioni.

Il governo, sostenuto nella sua operazione dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha invece parlato di “segnale chiaro dello Stato” contro la violenza e l’illegalità, sottolineando che in Italia “non ci deve essere spazio per la violenza”.

Lo scontro tra istituzioni e movimenti di piazza, tra legalità formale e cultura alternativa, si è trasferito rapidamente dalle vie di Torino al dibattito nazionale. La protesta contro lo sgombero di Askatasuna ha messo in luce fratture profonde nella società italiana, su temi che vanno dal diritto alla protesta alla gestione degli spazi pubblici, dal ruolo dei centri sociali alla percezione della sicurezza urbana.

Mentre l’area di corso Regina Margherita resta sotto sorveglianza e il centro sociale rimane sigillato, la mobilitazione delle piazze non accenna a spegnersi, con attivisti che parlano di “resistenza permanente” e oppositori politici che rivendicano il primato della legge.

In questo clima, la vicenda Askatasuna continua a essere molto più di una notizia di cronaca: è il simbolo di un’Italia che si interroga su cosa significhi essere liberi, civili e sicuri nello stesso spazio pubblico, dove ogni pietra sollevata in strada racconta una storia diversa.

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