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Askatasuna, Lo Russo si assolve da solo (in video)

Videomessaggio del sindaco dopo lo sgombero del centro sociale. Rivendica il patto “coraggioso e lungimirante”, condanna la violenza (dopo), respinge le critiche e prova a tenere insieme una città spaccata e una maggioranza che scricchiola

Askatasuna, Lo Russo si assolve da solo (in video)

Askatasuna, Lo Russo si assolve da solo (in video)

Torino non ha ancora fatto in tempo a smaltire l’odore acre dei lacrimogeni che Stefano Lo Russo decide di metterci la faccia. O meglio: la faccia in video, formato social, come da copione dei tempi moderni. Askatasuna è stata sgomberata da poco, la città è attraversata da nervi scoperti, il corteo di domani incombe come una promessa di nuovi guai e il sindaco, stretto tra accuse incrociate e malumori crescenti, rompe finalmente il silenzio.

Non lo fa per stemperare i toni, né per chiedere scusa. Al contrario. Il messaggio è una difesa a tutto campo della linea seguita da Palazzo Civico, con il chiaro obiettivo di uscire dall’isolamento politico in cui il primo cittadino si è ritrovato: bersaglio della destra, che gli imputa ingenuità e dialoghi fuori tempo massimo, e sotto tiro anche di una parte della sinistra, che non gli perdona la fine traumatica del patto di collaborazione con il centro sociale.

Lo Russo, però, non fa mezzo passo indietro. Zero tentennamenti, zero autocritica. La scelta del patto viene rivendicata con orgoglio, anzi con una certa enfasi: «coraggiosa e lungimirante». Tradotto: abbiamo fatto quello che nessuno prima aveva avuto il fegato di fare. Ventinove anni di immobilismo – parole sue – durante i quali Askatasuna è rimasta lì, congelata come un reperto archeologico dell’antagonismo torinese, osservata da lontano da amministrazioni che hanno preferito guardare altrove.

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Nel video il sindaco chiarisce subito un concetto chiave: far finta di niente non era un’opzione. Sarebbe stato, a suo dire, rinunciare alla responsabilità di governo e alla tutela di un bene comune. E così Palazzo Civico ha deciso di imboccare una strada nuova, «consapevolmente complessa», separata – sottolinea più volte – dai procedimenti giudiziari, che «continueranno a seguire il loro corso». Perché la politica, ci spiega Lo Russo, risponde ad altre logiche: amministrative, sociali, collettive. Una specie di mondo parallelo dove tutto dialoga, anche quando fuori volano manganelli.

La difesa del metodo è netta, quasi granitica. Ma arriva subito dopo anche la condanna della violenza, altrettanto netta, altrettanto senza sfumature. Nessuna ambiguità, assicura il sindaco: «condanniamo con fermezza» quanto accaduto durante e attorno alle manifestazioni degli ultimi mesi. In particolare gli attacchi alle sedi dei giornali, colpevoli – secondo il primo cittadino – di aver subito un affronto inaccettabile perché rappresentano «presìdi fondamentali di democrazia e libertà». La violenza, ribadisce, non è mai giustificabile. Detto dopo, non prima. Ma detto.

C’è poi il passaggio più giuridico, quello che sembra scritto pensando direttamente ai talk show e alle interrogazioni parlamentari. Lo Russo richiama un principio sacro dello Stato di diritto: le responsabilità penali sono individuali, non collettive. Un modo elegante per dire che non si possono fare pacchetti unici, che non si condanna un intero mondo per le azioni di alcuni. La democrazia liberale, ricorda, «rifiuta ogni forma di responsabilità collettiva e ogni generalizzazione». Un concetto limpido, che però nella Torino di oggi rischia di suonare come benzina sul fuoco.

Il sindaco rilancia poi la parola d’ordine che più ama: coesione sociale. Contro quella che definisce una narrazione tossica, alimentata da strumentalizzazioni e paure. «Non accettiamo strumentalizzazioni che alimentano tensioni e paure, allontanando le persone invece di unirle», dice. La sua idea di città è sempre la stessa: unire, non dividere; mediare, non radicalizzare. «La vera sfida delle città oggi è saper gestire una convivenza civile». Peccato che, mentre lo dice, la convivenza civile sembri un concetto piuttosto teorico, almeno guardando cosa succede per strada.

Nel finale il messaggio si fa apertamente politico, quasi identitario. Torino, ricorda Lo Russo, è Medaglia d’Oro della Resistenza, una città profondamente democratica e antifascista. E da qui arriva la stoccata al centrodestra e al Governo nazionale: «Torino dissente profondamente dalle scelte e dall’impostazione culturale di questo Governo». Nessun arretramento, nessun cambio di rotta. «Non intendiamo modificare le nostre priorità né cambiare approccio». Tradotto: non ci farete cambiare idea, nemmeno urlando più forte.

Il sindaco guarda già oltre Askatasuna, come se la pagina fosse quasi girata. Anche se il patto di collaborazione è saltato il giorno dopo lo sgombero, l’amministrazione continua a immaginare per l’immobile di corso Regina Margherita 47 un futuro luminoso: spazio pubblico, vocazione sociale, apertura al quartiere Vanchiglia e alla città intera. Inclusione, servizi di prossimità, attività culturali e formative. Un luogo per famiglie, giovani e per chi oggi non trova risposte. Un rendering ideale che, per ora, resta più nelle parole che nei fatti.

«Mentre i procedimenti giudiziari faranno sempre e comunque il loro corso – conclude – la tutela di un bene comune risponde ad altre logiche: politiche e amministrative». Una responsabilità che Lo Russo rivendica fino in fondo, parlando di un percorso difficile ma «fondato sul dialogo, sulla partecipazione e sulla responsabilità collettiva, nel solco dei valori della Costituzione».

Parole che non spengono le polemiche, anzi. Un messaggio che prova a tenere insieme tutto e il contrario di tutto, nel momento forse più delicato del mandato. Con il rischio concreto che il sindaco resti schiacciato tra due fronti opposti, entrambi pronti a presentargli il conto. In una Torino attraversata da tensioni e nervi scoperti, Stefano Lo Russo prova a riprendere il timone. Ma il mare è agitato, e la rotta scelta continua a dividere la città. E anche il suo stesso campo politico. Insomma.

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