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Juventus in corsia, quando il calcio abbassa la voce e lascia spazio ai sorrisi dei bambini

I giocatori bianconeri al Regina Margherita e a Casa UGI: un pomeriggio lontano dai riflettori, dentro i reparti dove il tempo pesa di più

Juventus in corsia, quando il calcio abbassa la voce e lascia spazio ai sorrisi dei bambini

Juventus in corsia, quando il calcio abbassa la voce e lascia spazio ai sorrisi dei bambini

Nel pomeriggio torinese che profuma già di Natale, il rumore del calcio si è fermato fuori dallo stadio ed è entrato in punta di piedi nei corridoi dell’ospedale Infantile Regina Margherita e di Casa UGI. Niente cori, niente luci, nessuna coreografia. Solo maglie bianconere, pacchetti regalo e sorrisi trattenuti, quelli che si fanno quando si capisce che il contesto chiede rispetto prima ancora che entusiasmo.

Una delegazione di giocatori e giocatrici della Juventus Football Club, guidata dal presidente Gianluca Ferrero, ha fatto visita ai piccoli pazienti ricoverati nei reparti più delicati della struttura: Oncoematologia pediatrica, Centro Trapianti, Hospice Isola di Margherita, Cardiologia e Cardiochirurgia pediatrica. Un percorso che non è una passerella, ma una discesa lenta dentro storie fragili, fatte di attese, terapie, paure e speranze quotidiane.

Accanto a Ferrero c’erano Pierre Kalulu, Lloyd Kelly, Gleison Bremer, Teun Koopmeiners per la prima squadra maschile, insieme a Barbara Bonansea, Martina Rosucci, Paulina Krumbiegel e Michela Cambiaghi per la Juventus Women. Volti noti che, per un pomeriggio, hanno messo da parte il ruolo di idoli sportivi per diventare semplicemente ospiti, capaci di ascoltare e di farsi ascoltare.

Ad accompagnarli lungo i reparti la professoressa Franca Fagioli, riferimento nazionale per l’oncoematologia pediatrica, e Marinella Goitre, consigliera del direttivo e referente di Casa UGI, realtà che da anni sostiene le famiglie dei bambini in cura, offrendo accoglienza e supporto in uno dei momenti più complessi della loro vita.

I regali distribuiti stanza per stanza sono diventati il pretesto per fermarsi, parlare, scambiare una battuta, firmare una maglia, scattare una foto. Ma soprattutto per creare un’interruzione, anche breve, nella routine ospedaliera. Un tempo diverso, fatto di leggerezza, che per chi è ricoverato non è mai scontato. Per molti bambini e ragazzi, quel momento resterà un ricordo forte, forse più di una partita vinta o persa, perché arriva in una fase in cui il futuro è una domanda aperta e ogni gesto di normalità assume un valore enorme.

Non ci sono stati discorsi ufficiali né dichiarazioni a effetto. Ed è forse questo l’aspetto più significativo della visita: la consapevolezza che in certi luoghi le parole contano meno della presenza. Il calcio, per una volta, non ha cercato applausi, ma ha scelto di farsi strumento silenzioso, capace di entrare nei reparti senza invadere, di portare un sorriso senza promettere miracoli.

In un periodo in cui lo sport professionistico è spesso associato a polemiche, contratti, risultati e tensioni, il pomeriggio vissuto al Regina Margherita e a Casa UGI racconta un’altra dimensione possibile. Quella in cui una maglia non è un simbolo di appartenenza, ma un ponte. E in cui il vero risultato non si misura in gol, ma nei volti di chi, anche solo per un’ora, ha potuto sentirsi un po’ più leggero.

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