Nel pomeriggio più teso attorno ad Askatasuna, quando corso Regina Margherita è stato chiuso al traffico per permettere le operazioni di sgombero e le camionette della polizia occupano la carreggiata come un muro blu, succede qualcosa che sembra fuori copione. Un pallone compare sull’asfalto. Qualcuno lo calcia, un altro lo intercetta. In pochi minuti, davanti al centro sociale appena sgomberato e sequestrato, nasce una partita di calcio improvvisata, giocata tra le linee bianche della strada e le sagome immobili dei mezzi della Polizia di Stato.
Le porte sono fatte con giacche buttate a terra, i confini del campo coincidono con il cordone delle forze dell’ordine, gli spettatori sono agenti in assetto antisommossa e manifestanti rimasti lì dopo le cariche e gli idranti. È una scena che colpisce più di mille slogan: mentre la città discute di sgombero, legalità, ordine pubblico e repressione, un gruppo di ragazzi trasforma il corso in un campetto da strada, come se fosse un pomeriggio qualsiasi, come se tutto quello che è successo nelle ore precedenti potesse essere sospeso per qualche minuto.
Il pallone corre tra le camionette, rimbalza sull’asfalto umido, passa sotto gli sguardi tesi degli agenti. Non c’è musica, non ci sono cori. Solo risate nervose, urla da partita improvvisata, un’energia che sembra voler sfuggire alla logica dello scontro frontale. È un gesto che non ha bisogno di spiegazioni: per qualcuno è provocazione, per altri è resistenza simbolica, per altri ancora solo un modo per restare lì senza urlare. Di certo è l’immagine più potente della giornata, quella che racconta meglio la miscela di conflitto e quotidianità che da anni ruota attorno ad Askatasuna.
Poco distante, a pochi metri dal campo improvvisato, c’è un altro frammento di questa storia che passa quasi inosservato, ma che dice molto della città. Lucia, una signora del quartiere, arriva con una borsa e un termos. Offre tè caldo ai manifestanti rimasti davanti allo stabile. Non urla slogan, non prende il megafono, non sfida la polizia. Versa il tè nei bicchieri di plastica e parla sottovoce. Dice che il sindaco non può fare miracoli, che qui le decisioni le prendono “persone più autorevoli”. È una frase semplice, quasi rassegnata, che fotografa un sentimento diffuso: la percezione che la partita vera si giochi altrove, ben oltre corso Regina.
Video condiviso da un cittadino
Il tè passa di mano in mano mentre la tensione resta alta. Poche ore prima, la polizia aveva usato gli idranti per disperdere il presidio allestito davanti al centro sociale, dove tavoli e gazebo erano stati sistemati per bloccare l’accesso ai mezzi delle forze dell’ordine. Alcuni manifestanti si erano seduti in mezzo alla strada, tentando di rallentare le operazioni dopo lo sgombero mattutino. La risposta è arrivata rapida, con l’acqua sparata a pressione e la carreggiata liberata.
Tutto questo è solo l’ultimo capitolo di una giornata iniziata all’alba, con le perquisizioni della Digos nei confronti di otto attivisti dell’area antagonista torinese e all’interno dello stesso Askatasuna. Un’operazione coordinata dalla Procura, legata alle indagini sulle azioni violente degli ultimi mesi: dalle occupazioni dei binari di Porta Nuova e Porta Susa agli attacchi alla Leonardo, alle intrusioni alle Ogr, fino all’assalto alla sede del quotidiano La Stampa. Durante le perquisizioni sono stati sequestrati dispositivi elettronici, capi d’abbigliamento, fumogeni. Il centro sociale è stato dichiarato inagibile e posto sotto sequestro.
Da quel momento, corso Regina Margherita è diventato il centro di gravità di Torino. Politici, attivisti, residenti, forze dell’ordine: tutti lì, a misurarsi con una vicenda che va oltre un edificio occupato. Lo sgombero di Askatasuna ha scatenato una valanga di reazioni, dal plauso di una parte della politica alle accuse di repressione e tradimento arrivate dai movimenti e dalla sinistra radicale. Ma nel mezzo di questo scontro durissimo, sono proprio le scene laterali a raccontare meglio il clima.
La partita di calcio improvvisata tra le camionette non cancella la tensione, non la risolve. La sospende. Per qualche minuto, corso Regina non è un fronte, ma uno spazio occupato da corpi in movimento, da gesti quotidiani messi in scena in un contesto eccezionale.
Poi il pallone viene raccolto, le giacche-porte spariscono, il presidio si dirada. Le camionette restano. Askatasuna resta chiuso, sequestrato, al centro di un conflitto che non si esaurirà in una giornata. Ma l’immagine che rimane, quella che probabilmente verrà ricordata più a lungo, è quella di un campo da calcio disegnato per caso sull’asfalto di corso Regina Margherita, con la polizia a fare da sfondo. Una fotografia surreale, capace di raccontare meglio di qualsiasi analisi quanto questa città sia spaccata, stanca, eppure ancora capace di produrre gesti imprevedibili, anche nel cuore dello scontro più duro.