Quindici giorni alla fine dell’anno. Quindici. E ancora una volta il ponte di Castiglione Torinese torna al centro della scena non per l’avvio dei lavori, non per un cronoprogramma, ma per l’ennesima richiesta di proroga. È questo il dato politico che emerge dall’ordine del giorno approvato all’unanimità martedì 16 dicembre dal Consiglio dell’Unione dei Comuni Nord Est Torino. Una domanda, più che un atto amministrativo: possibile che si debba andare avanti a colpi di proroghe?
Possibile che sindaci, consiglieri e amministratori locali si ritrovino a metà dicembre a ricordare al Governo l’importanza di un’opera strategica quando il calendario sta per chiudersi?
L’ordine del giorno chiede al Governo di non definanziare gli interventi previsti dal cosiddetto Decreto Ponti e di prorogare ulteriormente i termini per l’assegnazione dei lavori. Tra questi c’è il rifacimento del ponte sulla SP 92 tra Settimo Torinese e Castiglione Torinese, un’infrastruttura che da anni regge – sempre più a fatica – il peso della mobilità quotidiana di migliaia di cittadini, imprese e mezzi pesanti. Un ponte che non è un dettaglio viario, ma l’asse principale di collegamento tra Settimo, la SR 11 e i Comuni collinari.
Il contesto è noto, e proprio per questo sempre più difficile da spiegare ai cittadini. Il decreto-legge 89/2024 aveva già fissato una scadenza, poi prorogata al 31 dicembre 2025, per l’aggiudicazione dei lavori finanziati con le risorse destinate alla messa in sicurezza dei ponti del bacino del Po. Nel territorio della Città metropolitana di Torino le opere finanziate sono dieci. Sette risultano avviate o appaltate. Tre – il ponte di Castiglione, la SP 565 Pedemontana e il ponte di Carignano – sono ancora ferme alla progettazione. Tradotto: decine di milioni di euro a rischio, non per mancanza di bisogno, ma per un iter che continua a inciampare.
L’atto approvato dall’Unione NET non nasce nel vuoto. Richiama le iniziative già assunte in questi mesi dal Consiglio comunale di Settimo Torinese, dal Consiglio metropolitano di Torino e perfino dal Parlamento. Richiama il lavoro tecnico della Città metropolitana e dei Comuni coinvolti, che hanno presentato al Ministero delle Infrastrutture la manifestazione di interesse per salvare i finanziamenti. Richiama, soprattutto, una realtà che sul territorio è evidente da anni: il ponte di Castiglione non può più essere trattato come un dossier qualunque.
Perché la storia recente di questa infrastruttura è una sequenza di annunci, rallentamenti, allarmi e rinvii. Da tempo il ponte è considerato critico sotto il profilo strutturale e strategico. Non è mai stato chiuso del tutto, è vero, ma vive sotto osservazione costante, con limitazioni, controlli, studi, progetti che si rincorrono. Ogni passaggio istituzionale ribadisce la stessa cosa: l’opera è indispensabile. Ogni passaggio successivo aggiunge un “ma”.
Negli ultimi anni il ponte di Castiglione è diventato il simbolo di una contraddizione che riguarda l’intero sistema delle infrastrutture locali. I fondi ci sono – almeno sulla carta. Le opere sono riconosciute come prioritarie. Le amministrazioni locali fanno la loro parte, approvano atti, condividono documenti, sollecitano Ministeri. Eppure si arriva sempre allo stesso punto: la scadenza che incombe, la proroga che diventa necessaria, la politica che corre contro il tempo invece di governarlo.
Non è un caso se, anche questa volta, l’ordine del giorno chiede una ulteriore proroga di 18 mesi. Non settimane, non qualche mese tecnico. Un anno e mezzo. Segno che il problema non è episodico, ma strutturale. E segno che nessuno, oggi, è davvero in grado di dire quando il ponte di Castiglione vedrà finalmente partire i lavori.
Nel testo approvato all’unanimità, il Consiglio dell’Unione NET invita il Ministero delle Infrastrutture e quello dell’Economia a valutare positivamente la richiesta avanzata dalla Città metropolitana. Chiede alla Regione Piemonte di sostenere ogni iniziativa politica utile. Impegna la Città metropolitana ad accelerare l’aggiornamento dei progetti di fattibilità tecnico-economica. E prevede l’invio dell’atto a Palazzo Chigi, ai Ministeri, alla Prefettura, ai parlamentari e ai consiglieri regionali del territorio.
È un elenco lungo, quasi rituale. E proprio qui sta il nodo politico della vicenda. Possibile che per un’opera dichiarata strategica da tutti si debba ancora “auspicare”, “invitare”, “sollecitare”? Possibile che la forza di un territorio debba esprimersi sempre sotto forma di ordini del giorno approvati all’ultimo minuto, invece che in cantieri aperti?