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I dati Istat non lasciano dubbi: in Italia ogni bambino ha sei nonni

Età media a 46,9 anni, crescono gli over 85 e cala la popolazione giovane, con un equilibrio demografico che cambia volto

I dati Istat

I dati Istat non lasciano dubbi: in Italia ogni bambino ha sei nonni

L’Italia sta cambiando pelle, lentamente ma in modo inesorabile. I numeri del Censimento Istat 2024 non lasciano spazio a interpretazioni ottimistiche: il Paese è sempre più anziano, mentre i giovani diventano una presenza via via più rara. Una trasformazione silenziosa, che non fa rumore come una crisi improvvisa, ma che incide in profondità sul futuro economico, sociale e culturale della nazione.

Al 31 dicembre 2024, l’età media della popolazione italiana ha raggiunto i 46,9 anni, in aumento di oltre tre mesi rispetto all’anno precedente. Un dato che fotografa una tendenza consolidata: le donne restano mediamente più longeve, con un’età media di 48,2 anni, contro i 45,4 degli uomini. Non si tratta solo di un indicatore statistico, ma di un segnale strutturale di un Paese che fatica a rinnovarsi.

A colpire è soprattutto la crescita dei cosiddetti grandi anziani, ovvero le persone con 85 anni e più. In un solo anno sono aumentati di 90mila unità, arrivando a quota 2 milioni e 410mila individui. Oggi rappresentano il 4,1% della popolazione totale, una percentuale che fino a pochi decenni fa sarebbe sembrata impensabile. Viviamo più a lungo, certo, ma questo allungamento della vita avviene in un contesto in cui le nuove generazioni non crescono abbastanza da riequilibrare la piramide demografica.

Sul fronte opposto, infatti, i giovanissimi continuano a diminuire. I residenti tra 0 e 14 anni sono scesi dall’12,2% all’11,9% in appena dodici mesi. Un calo che può sembrare minimo, ma che assume un peso enorme se inserito in una tendenza pluriennale. Anche la fascia considerata “attiva”, quella tra i 15 e i 64 anni, continua a ridursi, fermandosi al 63,4% della popolazione. Cresce invece, ancora una volta, la quota degli over 65, passata dal 24,3% al 24,7%.

Il dato che più di ogni altro racconta il ribaltamento demografico italiano è il rapporto tra bambini e anziani. Oggi, per ogni bambino sotto i sei anni si contano sei persone con più di 65 anni. Era 5,8 nel 2023, 5,6 nel 2022, appena 3,8 nel 2011. In poco più di un decennio, l’Italia ha visto raddoppiare questo squilibrio. Tradotto in termini semplici: i cortili si svuotano, le scuole si accorpano, mentre crescono le esigenze legate all’assistenza, alla sanità e alla cura della terza e quarta età.

Anche l’indice di vecchiaia, che misura il numero di persone di 65 anni e più ogni 100 giovani tra 0 e 14 anni, continua a salire. Nel 2024 ha raggiunto il 208%, contro il 200% dell’anno precedente. Nel 2011 era fermo al 149%. Numeri che raccontano un Paese radicalmente diverso da quello di appena quindici anni fa, con conseguenze che vanno ben oltre la demografia.

Il quadro, però, non è uniforme su tutto il territorio nazionale. Resistono forti differenze regionali. La Campania si conferma la regione più giovane d’Italia, con un’età media di 44,5 anni, anche se anch’essa registra un progressivo invecchiamento. All’estremo opposto resta la Liguria, che con 49,6 anni mantiene il primato di regione più anziana, seguita dalla Sardegna con 49,2 anni. Due realtà molto diverse, ma accomunate da un basso tasso di natalità e da una popolazione sempre più matura.

Scendendo a livello comunale, i contrasti diventano ancora più evidenti. Ordona, in provincia di Foggia, è oggi il Comune più giovane d’Italia, con un’età media di 37,6 anni, una sorta di eccezione statistica in un Paese che invecchia. All’opposto, Villa Santa Lucia degli Abruzzi, piccolo centro in provincia dell’Aquila con appena 83 abitanti, registra un’età media di 65,2 anni, un dato che racconta lo spopolamento delle aree interne e la fuga dei giovani verso le città o fuori dai confini nazionali.

Dietro questi numeri c’è molto più di una semplice fotografia anagrafica. C’è un Paese che fa sempre più fatica a fare figli, che vede i giovani rimandare o rinunciare alla genitorialità per motivi economici, lavorativi e culturali. C’è un sistema di welfare pensato per una società diversa, che oggi si trova a dover sostenere un numero crescente di anziani con una base contributiva sempre più fragile. C’è una sanità chiamata a gestire una popolazione longeva, spesso affetta da più patologie croniche, con costi e complessità crescenti.

L’invecchiamento, in sé, non è una colpa. È anche il frutto di conquiste importanti, come il miglioramento delle condizioni di vita e delle cure. Ma diventa un problema quando non è accompagnato da politiche capaci di sostenere la natalità, l’occupazione giovanile, l’integrazione e la qualità della vita. Senza un riequilibrio, il rischio è quello di un Paese sempre più sbilanciato, dove pochi giovani si trovano a sostenere molti anziani, con tensioni sociali ed economiche destinate ad aumentare.

L’Italia, insomma, non sta solo invecchiando. Sta cambiando identità. E i numeri Istat, dietro la loro apparente freddezza, pongono una domanda urgente: che Paese vogliamo essere tra vent’anni, quando i grandi anziani saranno ancora di più e i bambini ancora di meno?

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